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2 Mayo 2015

Esclusivo Perseguitati oggi, come cento anni fa, negli stessi luoghi. Un libro di Andrea Riccardi sul genocidio armeno

Cristiani d'Oriente una storia che non passa

 
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Noi tutti rischiamo di muoverci tra l'oblio pervasivo in questa società globalizzata, informatizzata, sostanzialmente ignorante - in cui si crede di sapere tutto e non si conosce profondamente nulla - e la memoria patologica, che constatiamo, per esempio, nei confronti delle vicende turche. Questa storia che non passa...
La storia è un misto di scienza e di poesia, come diceva lo storico polacco Gemerek. E poesia è un po' innamoramento e io vorrei dire perché ho scritto questo libro.
Questa storia per me è un amore sbocciato quando - tra il 1985 e il 1986 - visitai a fondo quella Siria in cui si poteva girare di notte tranquilli in taxi, e la Turchia. Io venni preso dalla grande passione di andare a visitare e conoscere questi luoghi della Turchia remota, la frontiera con la Siria, antichi luoghi cristiani: Mardin, Urfa (l'antica terra di Abramo), la piana del Tur ab Din, una grande piana con le montagne sul fondo, dove i Cristiani si mettevano a parte della storia. Come diceva Braudel: «Le montagne sono i rifugi delle minoranze», come le Valli Valdesi per i valdesi.
Scoprii un cristianesimo con grandi monumenti, belli, di quella bellezza di pietre intrise di secoli, di millenni di vissuto e di fede. Non una bellezza raffinata o costruita, ma depositata nei secoli. Una realtà, però, ormai sostanzialmente alla fine, cadente, che mi sembrò espressione di un mondo che realmente stava finendo. Una storia lontana, ma anche vicina, perché questa storia del genocidio dei cristiani e degli Armeni, è una storia che non passa. Non passa prima di tutto per i Turchi, perché sembra che questo genocidio sia nei codici genetici della loro nazione, della Repubblica e il Turco di oggi, che nega, si identifica con quello del 1915.
In questo contesto, una vicenda interessante è quella legata al nipote di Kemal Pasha - uno dei triumviri dei Giovani Turchi - che ha scritto un libro in favore degli Armeni (1915, "Il Genocidio Armeno", uscito in Turchia nel 2012, ndr). Qualcosa si muove, anche in Turchia: pensiamo allo scrittore Orhan Pamuk. Noi abbiamo il compito di aiutare questa storia a passare e ad essere "digerita". Perché la storia passa: gli Armeni sono stati sterminati.
Il Presidente turco Erdogan ha messo in luce una realtà interessante, minacciando di espellere i centomila lavoratori Armeni che sono immigrati in Turchia dalla Repubblica di Armenia: 100 mila armeni sono tornati e altri 40 mila vivono ancora in Turchia e, se tornerà la pace, gli Armeni torneranno. Lo stesso è per le altre popolazioni cristiane: non solo per tornare sulle loro radici storiche, ma perché nel mondo della globalizzazione i popoli sono destinati a vivere insieme, diversamente dai nostri Stati nazionali europei, dove eravamo tutti cattolici, cristiani, tutti omogenei.
La globalizzazione contiene, però, anche il processo opposto: le pulizie etniche. Ecco allora la storia che non passa: per i cristiani cento anni fa, ma anche per la storia di oggi, in cui i luoghi di Mardin, Mosul, Aleppo, i deserti, sono gli stessi delle stragi dei cristiani, di quella terribile pulizia etnica. E anche le vicende, le modalità, lo sgozzamento, la vendita delle donne e dei bambini sono gli stessi: una storia che non passa. Sono passati cento anni e siamo alla fine di un ciclo: è la fine del cristianesimo d'Oriente.
Questo, diversamente da quello latino, è il cristianesimo legato alla terra, alle reliquie, alla memoria di Cristo e degli Apostoli. Il cristianesimo orientale è legato al rito, e quando finisce in quel determinato luogo, muore. Noi stiamo assistendo agli ultimi giorni dei cristiani d'Oriente, in un secolo - dal 1915 a oggi - estirpati dalle loro terre, dove avevano vissuto come gente a parte della storia. I Turchi parlano dei cristiani - e soprattutto degli Armeni - come «i resti della spada».
Il libro che ho scritto è un libro di storia, ma anche di pietà. Io cerco di parlare di storia. Chi era a Mardin e vedeva passare quei terribili cortei ha scritto. Tutti hanno scritto con l'idea di aver visto delle cose terribili che dopo quattro o cinque anni - passata la tempesta - sarebbero diventate pubbliche. Ma più nessuno ne ha parlato. Di questi martiri, Giovanni Paolo II ha beatificato il vescovo armeno cattolico di Mardin, monsignor Maloyan: lui solo, di migliaia e migliaia di martiri cristiani che non hanno accettato di salvarsi convertendosi all'Islam. C'è stato un lunghissimo oblio e i cristiani sono sopravvissuti tacendo.
Una volta ho incontrato il vicesindaco di Mardin, una cristiana siriaca, che mi ha detto: «Le nostre vicende sono state terribili, ma è meglio non parlare di questo. Guardiamo al futuro». Per questi motivi, questo libro è un gesto di "pietà storica", se fosse possibile pensare all'esistenza di questa categoria: ricordare queste vicende, farle rivivere. Ed è anche un atto di fiducia: che si possa scrivere una nuova storia. In questa storia ci sono gli uccisi da un lato, gli assassini dall'altro.
Gli assassini che hanno guadagnato su questo tremendo furto di vite, come l'ideologo che scriveva poesie sulla pulizia etnica, o quel medico che teorizzava l'amputazione come unica via di guarigione dalla malattia. Questo aspetto è rilevante, perché nella modernità dei Giovani Turchi, c'è anche una ideologia medica, che si ritroverà più tardi nei medici nazisti e anche nei totalitarismi, ossessionati dalla necessità di cura, di pulizia, di igiene. Un altro gruppo di vittime emerge, però, tra assassini e assassinati: quello degli umiliati. Sono i 150 mila, 200 mila convertiti, i tanti bambini dispersi nelle famiglie turche nelle migliaia di villaggi. Che fine hanno fatto?
Tre storie, tra le migliaia, vorrei ricordare. La prima riguarda il Patriarca armeno di Istanbul, Snork Kalustian, eletto nel 1957. Qualche giorno dopo la sua elezione, una dorma musulmana si presentò alla sede del Patriarcato chiedendo di poter vedere il nuovo Patriarca: era sua madre. Era stata data in sposa a un musulmano e aveva avuto un altro figlio, musulmano, che era diventato imam. La madre del Patriarca armeno era musulmana e il fratello del Patriarca era un imam: imprevedibile esito della vicenda degli umiliati nella vicenda della strage dei cristiani di cento anni fa.
La seconda storia è la vicenda di una giornalista, avvocato turco, Fethiye Cetin. Sua nonna, alla fine della vita, la chiamò e le disse: «Io non mi chiamo Seher. Mi chiamo Heranush. A 15 anni sono stata portata via, sposata a forza, convertita, però non voglio che sia detta la preghiera musulmana al mio funerale. E tu devi ritrovare i nostri che sono scappati in America». Da quel momento la giornalista propose un movimento di recupero della memoria, che sta facendo emergere in maniera sorprendente le tante "nonne" armene delle famiglie turche.
Un terzo esempio, per parlare di questa storia sommersa, che deve tornare in luce, riguarda Hrant Dink, giornalista armeno turco assassinato nel 2007. Sua moglie, Rakel Dink, si trovava su una montagna sopra Mardin: nel '15 vi si erano rifugiati un gruppo di armeni, vivendo nascosti per cinquant'anni, al di fuori della storia. Il patriarca Snork Kalustian li ritrovò, li fece venire a Istanbul, fece studiare i bambini e in un orfanotrofio nacque l'amore tra Hrant e Rakel. Hrant Dink parlava proprio della necessità di recuperare questa storia sommersa, così come nella terra intorno a Mardin, ancora oggi, i contadini trovano le ossa degli uccisi.
Siamo alla fine di un ciclo? Ci sono nuove possibilità di vivere insieme? Sono tutte domande aperte. Credo che in questo momento storico non abbiamo grandi risposte, ma sentiamo tutti almeno l'esigenza di affrontare il futuro, sapendo quale è stata la storia e provando a leggere una realtà così complessa. Sono convinto che la storia sia un po' come l'inglese: per andare in giro nel mondo serve un po' di coscienza storica, altrimenti si crede di capire semplificando e si finisce per restare estranei al sentire profondo degli uomini e dei popoli.


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