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18 Junio 2015

A Genova tremila "cercatori di rifiuti", l'ultima frontiera tra crisi e lavoro

I rifiuti come lavoro. In tremila a Genova vivono recuperando oggetti dai cassonetti

Metalli, abiti, scarpe ma anche cibo. Riempiti gli zaini vanno a vendere. Il numero continua a crescere. "E il termometro della povertà"

 
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Sono 3000, circa, a Genova, i "cercatori di rifiuti". Si tratta di una nuova occupazione finita sotto i riflettori perchè molta della merce barattata o rivenduta nel suq di Turati proviene proprio dai cassonetti. O dalle corde da stendere: e in centro storico, soprattutto, c'è l'allarme degli appartamenti ai primi piani. Non si stende più il bucato. Altrimenti scompare.
Il "cercatore di rifiuti" agisce per lo più da solo e parte dalle zone più povere della città verso quelle più ricche. «Partono da piazza dell'Annunziata, al mattino presto - spiega Simone Leonini, presidente del Municipio Centro Est - si riconoscono perchè hanno grandi zaini, visibilmente vuoti sulle spalle e non sono tutti migranti, anzi, ci sono molti italiani: prendono l'autobus e si dirigono nei quartieri residenziali. Tornano soltanto quando lo zaino è pieno».
L'attività però è illecita, come indica il regolamento della polizia urbana e chi raccoglie rifiuti dai cassonetti rischia una sanzione amministrativa, fino a 200 euro, come spiega Claudio Musicò, referente provinciale del sindacato della polizia municipale Diccap.
Negli ultimi due mesi, con l'arrivo della primavera, c'è un nuovo bacino dove chi non ha proprio altro trova merce da rivendere o barattare: sono le corde dei panni dei primi piani, del centro storico. Soprattutto nel cuore più antico di Genova, intorno alla collina di Sarzano, si stanno moltiplicando le segnalazioni di bucati scomparsi. Soprattutto jeans e giubbotti, stesi al primo piano, sono le prede più ambite. E così non si stende più fuori dalla finestra, se si abita agli ammezzati o ai primi piani.
La prima stima numerica di quanti "cercatori di rifiuti" agiscano a Genova l'ha fatta Assoutenti, ma viene confermata dalle associazioni che si occupano di povertà in città: «Un fenomeno almeno quadruplicato ogni giorno - indica Andrea Chiappori, della Comunità Sant'Egidio - cominciato, in sordina, un paio d'anni fa e oggi moltiplicato esponenzialmente. Ogni cassonetto, soprattutto nelle zone del centro o residenziali, viene "visitato" più volte al giorno da persone diverse, è un'evidenza sotto gli occhi di tutti».
Gli oggetti o gli indumenti recuperati, che in parte si vendevano nel suq di Turati, servono a molti, non soltanto migranti, a racimolare qualche euro, per sopravvivere.
«Quelli operativi in città, ma è solo una stima e al ribasso - spiega Furio Truzzi, Assoutenti - sono tremila: persone che si occupano di rovistare e recuperare oggetti e anche cibo nei cassonetti». Truzzi spiega che ci sono anche le "specializzazioni" in cui si declina il mestiere, chi recupera mobili, metalli, vestiti e scarpe e infine, e non in misura minore, cibo.
E quello che era cominciato, proprio un paio di anni fa, come fenomeno sporadico, di chi frugava nei raccoglitori di abiti usati, lo Staccapanni, ora è dilagato ai semplici cassonetti. «Prendere oggetti dagli Staccapanni è un reato perché si tratta di furto aggravato di un bene lasciato alla pubblica sede», spiega ancora Musicò.
È il termometro della povertà a Genova che indica come ciò che la civiltà dei consumi, sempre meno affollata, scarta, può sfamare la sempre più affollata civiltà del bisogno.
E non bastano più le reti di sostegno alla povertà, così organizzate dal terzo settore sociale a Genova: «La povertà in città sembra si sia fermata da circa otto mesi - indica Chiappori - dopo anni in cui aumentava numericamente l'afflusso ai nostri centri, adesso si è arrestato. Non è una buona notizia: perché il numero non è diminuito. E perché chi si rivolge a noi è in condizioni di povertà prima inimmaginabili. La casa, il lavoro sono emergenze profondissime cui le amministrazioni devono cominciare a porre rimedio. Prima la casa l'avevano tutti, più o meno, oggi no».


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