| 18 Agosto 2015 |
Dietro le sbarre |
Gli incubi dei piccoli in carcere «La sera chiudono a chiave...» |
Il ministro Orlando: «Entro fine anno tutti fuori». |
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Alcuni sono condannati già prima di nascere. Piccoli con l'unica colpa, se così può essere definita, di avere la mamma in carcere. Il regime è identico malgrado gli sforzi e la libertà concessa per andare all'asilo o al nido interno e colorato. Ma quando si torna dentro, per chi è in grado di capire, è il rumore della chiave che chiude la porta a fare la differenza con il mondo esterno. Prigionieri fino a quando non sorge il sole e riprende la giornata e la parziale libertà.
Entro la fine dell'anno «nessun bambino sarà più detenuto», ha promesso il ministro della Giustizia Andrea Orlando appena un mese fa. I numeri sono contenuti. Le madri detenute con figli sparse sul territorio a luglio risultavano essere 33. Quindici sono state accolte negli Icam (Istituti a custodia attenuata) per detenute madri aperti a Milano, Milano, Venezia, Senorbì (Sardegna) e Torino. Ma sono stati avviati i progetti per la realizzazione di altri due istituti a Barcellona Pozzo di Gotto e a Roma. Le altre 19, invece, sono in carceri normali. Per lo più a Roma, a Rebibbia. Ma anche ad Avellino ed in altre istituti penitenziari. Costretti a vivere dietro le sbarre e certo non in camere singole in modo tale da essere protetti dai rumori, dalle voci, dai racconti criminali.
Potrebbero essere trasferiti in comunità protette, questo era lo spirito della legge, ma queste strutture non sono mai state costruite. Questioni di risorse. Troppi fondi occorrono per ospitare madri e figli fino a sei anni. Perchè questo la legge prevede: l'estensione fino a sei anni della possibilità di poter stare accanto alla propria madre.
I progetti alternativi per evitare ai piccoli di vivere dietro le sbarre esistono. Il coordinatore dei cappellani carcerari, don Virgilio Balducchi, è riuscito a portare in case famiglia per ragazze madri 18 donne con i relativi figli prima detenute. Ma ne restano ancora molte in attesa. Una iniziativa che in termini di costi, spiega Antonio Mattone responsabile per la comunità di Sant'Egidio delle carceri in Campania, può essere la soluzione visto il contenimento della spesa, ma che soprattutto, consente al minore una vita umana e la tutela e il rispetto dei suoi diritti. Gli consente - aggiunge Mattone - di vivere una infanzia serena, perchè chi è costretto a dividere una cella pur trovandosi con la propria madre può essere irrimediabilmente segnato malgrado gli sforzi che vengono fatti all'interno delle strutture.
I tecnici del ministero della Giustizia stanno lavorando su imput del Guardasigilli ad una soluzione tesa ad eliminare quella che in più occasioni è stata definita come una vera e propria vergogna che non riguarda solo l'Italia. Ma in attesa che venga modificata la legge, si trovino i fondi e soprattutto una soluzione. I piccoli più fortunati sono negli Icam gli altri in carcere. Questa mattina esce un bimbo di due anni con la mamma dal penitenziario di Avellino. Dietro le sbarre ci è stato un bel po' di tempo. Nello stesso carcere altre due
donne, sempre con i figli, che non possono ancora andare in strutture adeguate. Ma almeno uno esce e con la propria madre.
Perchè il momento più doloroso, ricorda Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, è quello del distacco, quando con la propria madre con la quale si è vissuti in simbiosi, non sì può più stare, per l'età, per la mancanza di strutture. «È sempre doloroso, quando si costretti a stare dentro e quando si è fuori». Una vita complicata fin dalla nascita. Gli Icam, il primo è stato quello di Milano, sono a numero ristretto. In quello di Venezia attualmente ci sono dieci donne, due con figli e le altre otto sono incinta. I loro figli verranno accolti in maniera diversa. Ma sempre in un carcere si trovano dove c'è differenza, ma alla fine manca la libertà. Non ci sono gli agenti in divisa, sono in borghese. I colori delle strutture sono tenui, c'è maggiore pulizia, ma restano le limitazioni. Nei prossimi mesi aprirà a Roma la prima casa famiglia protetta per detenute madri. Si tratta, ha spiegato Orlando durante una visi ta a luglio a Rebibbia, di garantire ai bambini sia il diritto di non vivere dietro le sbarre, sia quello di crescere con il genitore. Aggiungendo che il superamento di questa vergogna «è un imperativo che dobbiamo realizzare nel più breve tempo possibile».
Da un recentissimo monitoraggio del Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) risultano inoltre «in netto miglioramento» le condizioni dei bambini che vanno a trovare in carcere i genitori detenuti: le visite pomeridiane, pensate per favorire i figli che vanno a scuola, sono state introdotte in 160 istituti; quelle domenicali in poco più di 80; un centinaio sono, invece, le aree verdi; poco più di 60 le ludoteche presenti e in tutto 154 gli spazi destinati ai bambini.
Passi in avanti. Ma ora la priorità è arrivare a «quota zero» di bimbi in carcere per consentire loro una vita «normale» senza dover espiare la pena senza dover chiedere con insistenza alla propria mamma: «Perchè chiudono la porta a chiave?».
Elena Romanazzi
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