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1 Septiembre 2015

Popoli in fuga. Intervista a Marco Impagliazzo

"La via dei Balcani è ora la più sicura, dalla Libia viaggi duri e scafisti violenti".

«In corso la più importante ondata migratoria mai conosciuta. Ancora non siamo in grado di definirla nei suoi futuri sviluppi»

 
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La serrata della Manica non rappresenta una buona notizia per l'Italia. Ed è addirittura pessima perché surriscalda quella parte d'Europa eccitata dai fili spinati contro i migranti che lascia le barche in balia delle onde. Il nostro Paese rimane invece in prima linea, sempre più solo e stremato. Sorretto anche e soprattutto dall'azione instancabile di volontari e soccorritori che caricano sulle spalle le inefficienze della burocrazia nazionale ed europea. «Vogliamo aiutare lo Stato», commenta Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio da anni in prima linea nell'accoglienza, che lavora tra l'altro al progetto Humanitarian Desk, nato per contrastare il traffico di esseri umani in Nordafrica. «Ma i flussi migratori - chiarisce il docente di Storia contemporanea all'Università di Perugia - sono destinati a crescere ancora. E se lo Stato ci impedisce di aiutarlo, non riusciremo a fare fronte all'accoglienza di migliaia di persone che bussano alle nostre porte».
Professore, perché la frontiera balcanica è stata presa d'assalto dai migranti?
«La pressione dalla Siria e dal Medio Oriente è diventata molto forte. Le tradizionali rotte del Mediterraneo non sono più sufficienti, i pericoli crescenti. Si è diffusa la notizia che in Libia gli scafisti sono molto violenti e le condizioni del viaggio molto dure. E così i profughi siriani hanno deciso di intraprendere nuove strade. Basta dare un'occhiata alla cartina geografica, per rappresentare al meglio il grado di disperazione dei fuggitivi. Le rotte si sono allungate fino alla Spagna: sempre più persone sono disposte ad attraversare il deserto del Sahara, pur di cercare un varco che possa condurli a una destinazione più sicura. La rotta balcanica esisteva anche in precedenza: la novità è che l'afflusso di persone, rispetto al passato, è notevolmente cresciuto. E va registrato il mutato ruolo della Turchia, che ora ha interesse ad allontanare la maggior parte dei migranti».
La Siria è preda di feroci sommovimenti. Dobbiamo aspettarci un'ulteriore crescita dei flussi in uscita, di questo passo?
«Anche se le notizie restano drammatiche, si può confidare molto nel lavoro svolto dalla comunità internazionale per la pacificazione della Siria. L'accordo sul nucleare stretto con l'Iran ha prodotto i primi deboli segnali di stabilizzazione in territorio siriano. Teheran sostiene il presidente Assad, e gioca pertanto un ruolo importante nella partita per rimettere in sicurezza Damasco. Ma Siria a parte, l'emigrazione è destinata a crescere anche per altri ordini di motivi».
A che cosa si riferisce?
«È una questione di prima grandezza ma ne parlano in pochissimi: come ha bene chiarito Papa Francesco nell'ultima enciclica sull'ambiente, avanza inesorabile la desertificazione. I migranti ambientali sono destinati a crescere a causa del prosciugamento delle fonti idriche provocato dai mutamenti climatici».
Riusciremo a fronteggiare una tale emergenza, se già oggi annaspiamo?
«Una certa vulgata vuole che le migrazioni siano lette a senso unico, dal meridione al settentrione del mondo. Si usano toni minacciosi, ma l'allarme è ingiustificato. La verità è che c'è una perfetta equivalenza: ai flussi migratori da Sud verso Nord, corrisponde lo stesso numero di spostamenti da Nord verso Sud. Molti paesi a Sud del pianeta, dalla Giordania al Libano, passando per molte terre africane, accolgono tanti profughi quanti ne ospitiamo noi oggi nel cosiddetto Nord. Ma di questo, per ovvie ragioni, non ne parla nessuno».
Ci sono stati nel passato fenomeni migratori comparabili a quelli odierni?
«Nei secoli scorsi si è assistito alla grande traversata dall'Europa alle Americhe, e a alle migrazioni interne allo stesso Vecchio continente per via delle guerre. Ma questa è a mio parere la più importante ondata migratoria che abbiamo mai conosciuto. E che ancora non siamo in grado di definire nei suoi futuri sviluppi, anche a causa della cattiva informazione. Dev'essere detto con forza che chi migra è vittima della guerra e non è un fondamentalista. Al contrario chi fugge è vittima dell' estremismo. L'equiparazione tra profughi e terroristi è menzognera e inaccettabile».
L'Europa punta ad accogliere i profughi politici e respingere i migranti economici. È la strada giusta?
«Paesi come l'Inghilterra hanno intrapreso questa direzione, ma la strada si presenta in verità piuttosto tortuosa ed equivoca. Spesso le motivazioni di chi emigra si mischiano. Catalogare in modo netto i drammi più disparati non è impresa semplice».
Che cosa si può fare dunque di sensato in sede europea?
«L'Europa è ancora una fortezza. Presenta rispetto agli Stati Uniti notevoli carenze organizzative nei Paesi di partenza dei migranti. Mancano strutture di accoglienza, centri per la raccolta di domande, uffici per i visti quanto meno nei Paesi di transito come l'Egitto. Le aperture della Germania sull'emergenza migratoria vanno registrate con favore, ma è ora che si provveda a colmare le tante, troppe lacune».
L'Italia, nonostante miracoli quotidiani di volontari e soccorritori, non può farcela da sola.
«Gli sforzi sono innumerevoli. Gli italiani e i siciliani in particolare, generosi oltre ogni misura. Ma i migranti continuano a crescere, e il lavoro necessario sempre più imponente. Anche il nostro Paese mostra delle assurde mancanze. È possibile che in Italia non ci sia la possibilità di sponsorizzare l'accoglienza di famiglie di immigrati che si vogliono ricongiungere con i loro familiari? Perché a Sant'Egidio, alle altre comunità, alle parrocchie non viene consentito di farlo, come succede in Canada e negli Stati Uniti? Vogliamo aiutare lo Stato, ma lo Stato ci impedisce di farlo».
Un ragionamento che vale anche per i Paesi d'origine dei migranti.
«Il lavoro dei volontari è determinante in questa sfida, anche nei Paesi d'origine. La Comunità di Sant'Egidio ha lanciato ad esempio insieme alla Federazione delle Chiese evangeliche un grande progetto: Humanitarian Desk. Saranno creati degli uffici di visti in Libano e in Marocco, dove verranno effettuati gli screening delle domande. Migliaia di persone eviteranno di imbarcarsi nelle zattere della morte».


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