Intervista a Andrea Riccardi: «Roma è sofferente, Raggi dimostri di saper governare»

Il fondatore di Sant'Egidio: «Non funzionano le strutture fondamentali, città a rischio»

Lo sguardo di Andrea Riccardi, romano, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, in questi giorni è prevalentemente concentrato sul prossimo incontro interreligioso di Assisi, domenica prossima, a trent'anni da quel primo, storico, incontro voluto da Papa Giovanni Paolo II. Ma non può non rivolgersi anche alla sua città dove nel 1968, con il doposcuola ai bimbi delle baracche, tutto ha avuto inizio: il suo impegno sociale e l'attività di una Comunità che è stata definita l'Onu della Chiesa, per il suo impegno in tanti paesi del mondo. Oggi Roma è a rischio, dice, e «non si risolleverà senza un impegno di tutti».
«Tornando con la mente ad allora, a quell'impegno tra gli abitanti più disagiati della città - dice Riccardi - osservo che anche oggi Roma è sofferente: non funzionano le strutture fondamentali, come la raccolta dell'immondizia o i trasporti; le periferie soffrono più di tutti, se non si investe lì, Roma è a rischio».
Prima delle elezioni, lei disse all'Unità: non basta un Sindaco per risolvere i problemi di Roma. Ora però Roma un sindaco ce l'ha ed è inevitabile chiederle un giudizio, da cittadino romano e da autorevole esponente del mondo cattolico.
«Sono stanco di parlare e sentir parlare del gossip attorno a Virginia Raggi. Diamole tempo e lei dimostri di saper governare. Spostiamo lo sguardo dal Campidoglio alla città: i problemi di Roma vengono da lontano e non saranno risolti da questa giunta. Quel che io vedo mancare è un impegno civico: noi romani fuggiamo dall'impegno comune, ognuno, anche le cosiddette eccellenze si rinchiudono nella propria nicchia, i partiti sono morti, e non si vede in giro una classe dirigente, nella stessa amministrazione nessuno si prende la responsabilità di firmare qualcosa. Nel frattempo Roma affoga nei suoi problemi, acuiti dalle dimensioni della città e da una burocrazia pletorica e inefficiente. Senza uno scatto, una presa di coscienza civica, Roma sprofonda e neppure Mosè potrebbe risollevarla dalle acque».
C'è stata una polemica su alcune valutazioni del Vaticano sulla giunta: c'è chi le ha interpretate come critiche e chi invece ha accusato le opposizioni di averle forzate e strumentalizzate. Lei come la vede?
«Il Vaticano è in attesa, come lo siamo tutti noi romani. Ma almeno il Vaticano ha parlato, mentre tutti gli altri tacciono, in una sorta di silenzio della rassegnazione che riguarda anche il mondo cattolico, chiuso nelle sue nicchie. C'è stata la lettera del cardinal Vallini, è vero, ma io mi sarei aspettato che nel quarantennale del famoso convegno diocesano sui mali di Roma si facesse qualcosa di simile, ci si applicasse con analoga passione alle sofferenze della Roma odierna. Tuttavia, nei luoghi dove più acuta è la crisi, nelle periferie, chi c'è in prima linea? Partiti e sindacati sono scomparsi, restano solo i sacerdoti e i volontari cattolici. A Roma c'è tanta gente per bene, tanta gente che si dà da fare, quel che manca è qualcosa che le metta insieme».
Da dove ripartire?
«I problemi di Roma richiedono interventi di lungo periodo. C'è prima di tutto da cambiare quella mentalità romana di cui parlavo prima e ricostruire un tessuto umano e civile; poi ci sono da ripensare le dimensioni monstre della città. Ma il problema più grande è quello delle periferie. Non faremo nulla se non torneremo a una passione civile per le periferie».


[ Carmine Fotia ]