La casa di pace che accoglie tutti: l'utopia (possibile) di Sant'Egidio

Marcelle, Breskella, Diala, Majd, Raneem, Silva. Sei nomi, sei ragazzi come tanti. Un'età compresa tra i 19 e i 25 anni. Ora sono seduti attorno a un tavolo, al numero 13 di via dei Fienaroli, Roma, Comunità di Sant'Egidio. Sono lì, a metà tra il timido e il divertito. Occhi neri, profondi. Di chi ha vissuto a lungo. Bambini saggi. Figli di una guerra assurda e incomprensibile.

Loro sono siriani con l'unico difetto d'essere cristiani o anche musulmani e per questo perseguitati da Daesh, lo stato islamico «sedicente». Ma laggiù in Siria, gli aggettivi importano poco. Lì, la sofferenza, il dolore, la morte, la paura di sedicente non hanno nulla. E questi sei ragazzi lo sanno fin troppo bene. Fino a tre settimane fa erano lì, nel bel mezzo della guerra.

Oggi sono al sicuro e devono la loro salvezza ad un gruppo di persone che all'epoca dell'operazione Mare Nostrum, quando i flussi migratori iniziavano a crescere assieme alle morti in mare di chi tentava il viaggio della speranza verso l'Europa, si posero una sola e semplice domanda: «Cosa possiamo fare noi?». Da quella domanda nata in una delle tante riunioni della Comunità di Sant'Egidio di Roma nacque l'idea dei Corridoi umanitari.

«Ci ricordammo come nel 1986 la Comunità, grazie a uno sforzo corale dell'allora governo italiano, riuscì a permettere a un gruppo di cristiani iracheni di guadagnare la salvezza attraverso la Turchia, poi l'Italia, sino al Canada - spiega Daniela Pompei, responsabile servizi immigrazione della Comunità di Sant'Egidio -. All'epoca non c'era la possibilità per cittadini extra europei di chiedere lo status di rifugiato o l'asilo politico come lo conosciamo oggi, eppure ci riuscimmo». Stavolta, a venire in soccorso dei volontari di Sant'Egidio, arriva il diritto comunitario che, con l'articolo 25 del regolamento visti, prevede come ogni Stato dell'Unione possa rilasciare dei visti per motivi umanitari che consentono a persone in fuga dalla guerra e in condizioni di vulnerabilità di arrivare legalmente e in sicurezza.

«Il 15 dicembre dello scorso anno, grazie al sostegno economico e fattivo delle Chiese Evangeliche e delle Chiese Valdesi, in collaborazione con Aereoporti di Roma e Alitalia, siglammo un protocollo d'intesa con i ministeri italiani degli Interni e degli Affari esteri, con il quale si è dato avvio alla sperimentazione». Accade così che a febbraio del 2016 il primo gruppo di migranti provenienti dal Corridoio umanitario aperto in Libano permette a 93 siriani di raggiungere in modo sicuro l'Europa.

«Il funzionamento è quanto mai semplice: grazie alle reti di prossimità che abbiamo sui territori, dalle Chiese ad altre organizzazioni, vengono segnalati i casi che destano preoccupazione. Si incontrano i candidati non solo per verificare che corrispondano ai requisiti di vulnerabilità e accesso al visto umanitario ma anche per informarli sul tipo di inserimento che ci può essere una volta arrivati in Italia. È questo il valore aggiunto dei corridoi: non sono solo una risposta alla crisi dei rifugiati, ma anche una garanzia di sicurezza per i nostri Paesi. Questo sistema, oltre a permettere più verifiche sulle persone in ingresso, assicura poi a queste persone un programma di integrazione immediato».

E il caso di Marcelle a cui mancano cinque esami per laurearsi in archeologia e che sin dal giorno dopo il suo arrivo, assieme agli altri ragazzi, lo scorso 24 ottobre, dove ad attenderli c'era anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, al mattino era in via dei Fienaroli, dietro i banchi della scuola di Sant'Egidio. Una scuola che a Roma conta sette sedi e fornisce istruzione gratuita a 3.000 migranti. A scuola, i ragazzi apprendono la storia da Omero sino a Camilleri imparando la lingua italiana, primo vero strumento di integrazione. Il percorso, gestito da docenti volontari, accompagna i ragazzi seguendo il metodo Cambridge, con l'ausilio di un libro di testo realizzato dalla Comunità in occasione dei 150 anni dall'Unità d'Italia, «L'Italiano per amico», rivisitato con i diversi step di approfondimento, e, grazie a un accordo con l'Università di Perugia, la formazione viene anche certificata.

In più giovani e famiglie vengono ospitati in strutture della Chiesa o in alcuni casi da generose famiglie italiane. «Sapere che con poche centinaia di euro è possibile da una parte combattere seriamente il traffico di essere umani, cambiare la vita a chi non ha più speranza e, dall'altra - conclude Pompei -, garantire vie di accesso sicure, significa per noi avere raggiunto il primo obiettivo. Quello più complesso è far sì che questa divenga una prassi diffusa». Francia e Polonia paiono interessate come anche Spagna e Germania. Intanto, la Comunità di Sant'Egidio prosegue il proprio impegno che per il 2017 prevede di toccare quota mille.


[ Luca Mattiucci ]