Bergoglio disarmato di fronte alla violenza

Il commento

Il Vaticano ha comunicato che il Papa userà un'auto non protetta nel prossimo viaggio in Egitto, pur conoscendo la situazione di sicurezza. Un altro segno di un Papa disarmato, ma non rassegnato alla violenza. Si è intuito questo suo atteggiamento anche sabato scorso all'isola Tiberina, nel cuore di Roma: qui, nella basilica di San Bartolomeo, ha compiuto un pellegrinaggio al santuario dei nuovi martiri contemporanei.
Il Papa è apparso grave e concentrato nella preghiera. Piero Schiavazzi ha osservato che la visita manifesta un senso drammatico di lotta tra bene e male. Negli ultimi decenni, il Cristianesimo si è scoperto più perseguitato di quanto sapesse. Papa Wojtyla ha messo in luce i dolori del Cristianesimo nel mondo comunista o nei Sud del mondo, capace però di resistere al male. Di fronte a questo scenario, Bergoglio ha detto: «La Chiesa è Chiesa se è di martiri». Le molteplici situazioni di martirio sono ricomposte nella grande icona della basilica sull'isola: un «affresco delle Beatitudini». Davanti a essa, Francesco ha sostato in silenzio.
Per lui, le varie violenze contro i cristiani hanno una radice: il male «ci odia e suscita la persecuzione». Parlava innanzi alla sorella di padre Hamel, sgozzato in Francia dai terroristi nel 2016, e al figlio del pastore evangelico Paul Schneider, ucciso dai nazisti a Buchenwald.
Un silenzio
profondo, quasi drammatico, ha accompagnato il Papa in preghiera innanzi alle memorie dei caduti: dal breviario di padre Hamel al messale di mons. Romero, martire a San Salvador. A queste memorie, Francesco ne ha aggiunta una: una cristiana sgozzata dai terroristi di fronte al marito musulmano, ora rifugiato a Lesbo. Con lei, ha ricordato i caduti ignoti, quasi a dire che il dolore è più grande di quanto si sa. Ha avuto una nota di vergogna di fronte «ai nuovi martiri». Infine ha invocato la pace in un mondo violento e poco umano: «Effondi la tua misericordia sull'umanità».
Dai martiri, il Papa è passato all'incontro con i rifugiati siriani ed eritrei, e con alcune nigeriane dalle storie tristi. Prima di lasciare l'isola del Tevere, ha voluto insistere sull'altro «martirio», quello dei migranti: «Pensiamo alla crudeltà che oggi si accanisce sopra tanta gente; lo sfruttamento della gente». I campi dei rifugiati sono stati da lui definiti, con forza inedita, «di concentramento, per la folla di gente che è lasciata lì». Nel ragionamento critico del Papa sull'inaccoglienza, Italia e Grecia sono però «popoli generosi». Lui spera che la «generosità del Sud... possa contagiare un po' il Nord».
Il Papa però vede l'Europa, anche cristiana, muoversi contro la storia, soprattutto incapace di dare futuro a sé e agli altri: «Siamo una civiltà che non fa figli. Questo si chiama suicidio». Solo Benedetto XV aveva parlato di «suicidio» dell'Europa durante la Prima guerra mondiale. Bergoglio ha concluso in modo amaro, se non con toni apocalittici, terminando con un «preghiamo». Sembra aprirsi - anche con il difficile viaggio in Egitto - una stagione nuova del pontificato in cui, più che la gioia delle folle, prevale un senso grave della situazione del mondo e della lotta, a mani nude, alle tante espressioni dell'odio.


[ Andrea Riccardi ]