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23 Noviembre 2011

Andrea Riccardi: «Quei bimbi sono parte del nostro futuro»

 
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«Io credo che il presidente Napolitano abbia toccato un punto nodale della questione, ovvero che per l’integrazione si debba cominciare proprio dai bambini». Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, si è da pochissimi giorni calato nei panni di ministro della Cooperazione internazionale e dell’integrazione  degli immigrati. I suoi telefoni squillano continuamente e non è facile intervistarlo. Ma da quello che dice, pare proprio che abbia già le idee molto chiare sulle linee politiche che intenderà seguire al vertice del suo ministero.

Ministro Riccardi, il presidente della Repubblica ieri ha sollecitato chiaramente il riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini immigrati nati in Italia. Lei che ne pensa?
Quello di Napolitano è stato un appello chiaro e molto condivisibile. Il Capo dello Stato non parla solo da presidente della Repubblica, che in quanto tale deve assicurare la coesione nazionale e l’armonia sociale. Ma anche da ex ministro dell’Interno degli anni Novanta: in quel periodo ha conosciuto per diretta esperienza l’immigrazione e ha compreso che non si trattava di un fenomeno passeggero o contingente, ma di qualcosa che avrebbe rappresentato un elemento fondamentale per la vita futura del nostro Paese. Un uomo come Napolitano, che si è mostrato così sensibile al profilo dell’unità italiana, che ha fatto di quest’anno un anno di riscoperta delle nostre radici, non poteva non affrontare un tema di così grande attualità.

E dunque, si parte dai bambini?
Oggi c’è una nuova generazione, che ha un’origine straniera, ma che è nata in Italia. Sono quasi un milione di bambini, che hanno una tradizione che parte da lontano, ma che crescono e maturano all’interno della nostra cultura, della nostra lingua e del nostro mondo. Il presidente della Repubblica vede giusto: ovvero si rende conto come la componente di quei bambini rappresenti una parte del nostro futuro, non tutto il futuro, ma una parte essenziale sì: essi sono necessari perché il nostro Paese non invecchi. Ma non c’è solo il futuro, c’è anche il presente. E allora, credo, che concedere la cittadinanza sia un dovere nei confronti di questi bambini, ma anche un atto di lucidissimo realismo politico. Napolitano individua, insomma, un interesse del nostro Paese oltre che riconoscimento di diritti che sono comuni ai figli degli immigrati e a quelli degli italiani.

Non tutti, però, ritengono che gli immigrati siano una risorsa per l’Italia. Basta leggere alcuni commenti critici alle parole di Napolitano. Lei cosa risponde?
Cito dei fatti. Intanto, la popolazione italiana è potuta crescere solo grazie all’apporto dell’immigrazione. L’Italia ha un saldo naturale (ovvero la differenza tra nascite e morti) positivo, per via dei nuovi nati figli di stranieri. Si tratta di 78.082 bambini, il 13,9% del totale dei nati in Italia. Gli immigrati, insomma, contribuiscono a ringiovanire il Paese. Ma questo non è che un aspetto dell’apporto che gli stranieri danno all’Italia. Nel campo economico, per esempio. Basti pensare che il settanta per cento dei lavoratori stranieri nel nostro Paese ha aperto un conto in una banca italiana. Mentre tre milioni e trecento mila immigrati hanno presentato regolare dichiarazione dei redditi».

Il governo Monti e lei personalmente come intende procedere su questi temi? Ci sarà qualche provvedimento legislativo di iniziativa del governo in materia di cittadinanza o si rimetterete alle scelte del Parlamento?
Debbo dire che siamo ancora in una fase iniziale della vita del governo, per cui ritengo che sia ancora presto per dare delle precise indicazioni legislative. Abbiamo scelto, insieme al presidente Monti, il metodo della collegialità: e le decisioni dovranno, appunto, maturare in un clima di collegialità. Poi certo: come ministro della Cooperazione internazionale e dell’Immigrazione ho chiara la responsabilità di dover lavorare per favorire l’integrazione in tutti i campi. E credo che il punto di partenza sia proprio quello dei bambini, che oggi crescono insieme, con le loro differenze, ma anche con tantissime cose che li uniscono.


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