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15 Julio 2012

«ll Mali è il nuovo Afghanistan». Riccardi lancia l'allarme

«La cooperazione non è un lusso ma un dovere»

 
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ROMA - «Ci sono diciotto milioni di persone colpite dalla carestia nel Sahel che rischiano la morte e 400 mila sfollati del Mali, in larga parte passati nei Paesi vicini. Abbiamo un nuovo Afghanistan che sta per esploderei sotto i piedi con l'islamizzazione proprio del Mali. E ancora ci chiediamo se possiamo permetterei la cooperazione?». E un doppio allarme, umanitario e politico, quello che lancia Andrea Riccardi, ministro per l'Integrazione e la cooperazione internazionale, che ha rimesso a punto la macchina degli aiuti allo sviluppo. E convinto che sia un «dovere», ma, soprattutto, «Un'opportunità», anticipa la sua battaglia culturale
e politica e la nuova sfida del governo Monti da lanciare il prossimo ottobre con il primo Forum sulla cooperazione: trasformare la solidarietà con le aree di crisi in occasione di sviluppo. 
 
Ministro ma non sono tempi difficili anche per noi?
 
«Ecco questo è il punto principale. La cooperazione non è un lusso. So che lo sembra, ma è un errore».
 
Perché?
 
«Bisogna uscire dall'ottica che sia un'attività solo per persone di buon cuore, e capire che è l'indice di estroversione di un Paese».
 
Ovvero?
 
«Un Paese che si proietta nella globalizzazione deve fare cooperazione, che non è solo solidarietà ma anche connessione robusta del sistema Italia con gli altri. Quando vado in giro per l'Africa mi chiedono aiuti allo sviluppo ma anche intelligenze e imprese italiane: questo significa sviluppo per loro ma anche per noi».
 
Come possiamo permetterei questa sfida ambiziosa?
 
«Concentrarci su noi stessi e dentro i nostri confini ci condanna al declino. Gli italiani che lavorano in questi Paesi, sia dipendenti delle Ong che dello Stato ce lo insegnano: non sono eroi solitari ma costruttori del futuro italiano nella globalizzazione».
 
E i tagli?
 
«Abbiamo provato ad arginarli e redistribuire le poche risorse, rifissando le priorità di intervento. Bisogna guardare lontano. E non chiudere gli occhi su ciò che può succedere».
 
Cosa può accadere?
 
«Pensiamo al Sahel. Sembra lontano, ma la capitale del Burkina Faso dista 3.500 km dalle nostre coste. Helsinki è a 2.200. Le rotte dei trafficanti passano da lì. Inoltre la terribile siccità crea una situazione esplosiva».
 
Il governo interverrà?
 
«SÌ. Abbiamo dato 3 milioni e mezzo di euro e deciso di riaprire l'ufficio di cooperazione in Niger. Io stesso mi recherò tra dieci giorni in Niger per presiedere alla distribuzione di una parte degli aiuti italiani. E una grave questione umanitaria. Ci sono 8 milioni di persone bisognose di assistenza d'emergenza e, soprattutto,più di un milione di bambini affetti da grave malnutrizione. Un vero dramma. Ma attenzione: c'è anche altro».
 
Ovvero?
 
«È da lì che passano le rotte del traffico di armi e uomini. Occorre intervenire dove l'emergenza si crea. Il Niger e il Burkina non sono così lontani dalle nostre frontiere. E ora c'è un pericolo che si assomma a questo».
 
Cioè?
 
«Al Qaeda globale è destrutturata ma attua politiche territoriali allarmanti. E il Nord del Mali è ormai un Paese islamico a guida Aqmi (Al Qaeda Mahgreb islamico) che, saldatisi agli indipendentisti tuareg, rischia di essere il nuovo Afghanistan.Ci rendiamo conto?»
 
Come aiutare la stabilità?
 
«Appoggiando i Paesi come il Niger, dove siamo presenti con progetti di lotta alla desertificazione e abbiamo partner disponibili».
 
Quali altre priorità individua? 

 «l Paesi del Como d'Africa Come l'Eritrea e l'Etiopia Anche da lì i migranti affrontano viaggi pazzeschi. Inutile piangere per gli affogati se non si interviene prima: erano 13 anni che un ministro non visitava l'Eritrea E poi c'è la Somalia. Il 20 agosto ci sarà la conferenza che dovrebbe segnare la fine del periodo di transizione. Ma il Kenya si sta «ammalando» per la destabilizzazione somala. Anche lì c'è il terrorismo islamista».

Stiamo intervenendo in Siria?
 
«Sì, lì dopo tante vite umane sprecate c'è il rischio di rovesciamento dell'instabilità sui vicini. Secondo l'Onu sono 95 mila i siriani  tra il Libano, la  Turchia e la Giordania. Come reggerà l'impatto il fragile equilibrio del Libano? Abbiamo di fronte agli occhi il pericolo Iraq. Ecco perché occorre ripensare la cooperazione, come un elemento che aiuta la stabilità».
 
Si è guadagnata la fama di buco nero dei fondi pubblici.  

«Sono stati fatti errori nel passato. Ma oggi ci sono controlli molto seri. Vedo cose fatte con pochi soldi e molta qualità. Chi ci lavora è preparato e serio. Occorre declinare quel poco che abbiamo con intelligenza Per questo l'1 e 2 ottobre promuoveremo, insieme al Comune di Milano, il primo Forum della cooperazione, al quale interverrà anche il presidente Monti. I soldi possono essere trovati anche con l'intervento dei privati. La società può mobilitarsi. Ci saranno grande aziende, Ong, enti locali e tutti insieme dimostreremo che la cooperazione è un dovere, ma conviene all'Italia».


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