Carlo Calenda, viceministro allo Sviluppo economico, forse perché nipote di Luigi Comencini, e figlio di Cristina, sa interpretare diversi ruoli. Anche quello di uno che sale su una moto, senza casco, dietro a un africano mai visto prima, con casco, per dirigersi nella foresta di Gorongosa, in Mozambico. Missione speciale, con la collaborazione della Comunità di Sant'Egidio, che si è rivelata fondamentale.
È stata improvvisata durante una visita economica ufficiale all`inizio di settembre, dopo aver parlato con il presidente mozambicano Armando Guebuza e con Palazzo Chigi che ha dato il benestare. Obiettivo: convincere Alfonso Dhlakama, leader del partito di opposizione Renamo, a lasciare le montagne dove si era asserragliato da due anni con i suoi miliziani e dove, nello scorso ottobre, ci fu un conflitto a fuoco con le forze governative finito molto male: almeno 100 vittime.
«Renzi era stato in visita in Mozambico a metà luglio», spiega Calenda, «e aveva parlato con Dhlakama per telefono, per sbloccare una situazione politica molto pericolosa». Già in aprile, a margine del vertice Ue Africa, il presidente del Consiglio aveva dato la disponibilità del nostro governo per facilitare un avvicinamento tra le due parti. Poi era seguita una visita a Maputo del viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli. Adesso si trattava di convincere Dhlakama: abbandonare le armi, andare a Maputo, controfirmare gli accordi per la fine delle ostilità e partecipare alla campagna elettorale in vista delle prossime elezioni previste in ottobre.
L'Italia in Mozambico è molto considerata così come la Comunità di Sant'Egidio, protagonista della mediazione tra Frelimo (partito di governo) e Renamo (opposizione) che portò all'accordo di pace siglato a Roma nel 1992. Autore di quella storica mediazione di oltre 20 anni fa, insieme ad Andrea Riccardi, è stato il vescovo Matteo Zuppi. Entrambi sono stati nominati cittadini onorari del Mozambico. «Zuppi si trovava in Mozambico», racconta Calenda, «e mi ha dato la sua immediata disponibilità per un incontro con Dhlakama. Poi ho contattato una nipote del leader, che è anche deputata in parlamento, e insieme con l'ambasciatore italiano Roberto Vellano siamo partiti per andare a trovare il leader dei ribelli nel suo rifugio».
Due ore di aereo fino a Chimoio, due ore di auto su strade sterrate e un'ora di moto senza strade. Gli accordi nascono anche così, attorno a un tavolo di plastica, in mezzo al bush africano. «Il fatto di essere andati da lui di persona e la presenza di Matteo Zuppi sono stati due elementi decisivi», ricorda adesso il viceministro. Guardarsi in faccia, discutere e alla fine arrivare a una soluzione, con una stretta di mano, è forse più facile in mezzo alla foresta che nelle aule parlamentari. Almeno le nostre. Tre giorni dopo, Dhlakama è arrivato a Maputo, accompagnato dagli ambasciatori di Italia, Sudafrica, Botswana, Usa e Gran Bretagna, e ha firmato l'accordo di pace in vista delle elezioni. Tutto grazie a un viaggio in moto, senza casco, dove finiscono le strade.
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