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29 Mars 2015

Cattolici e sciiti in dialogo: le religioni fattore di pace

Il convegno a Sant'Egidio rilancia il loro ruolo e condanna il fanatismo. Tauran: combattere l'idolatria e favorire la concordia

 
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«C'è una immagine orrenda dell'Islam, storpiato nella mente di tanti popoli: l'immagine terrificante di una religione che invece è basata sull'invito alla pace, alla conoscenza reciproca, alla tolleranza verso tutti. Il compito dei dotti islamici è di togliere legittimità ad ogni violenza perpetrata in nome dell'islam. L'islam non ha nulla a che fare con i gruppi estremisti».
Partecipando martedì all'incontro su «Cattolici e sciiti. Responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale» - promosso da Comunità di Sant'Egidio, Missio e Imam Khoei Foundation - il teologo libanese Mohamad Hassan Al-Amine ha rivolto un appello a tutti gli intellettuali islamici: promuovere l'islam come religione della pace e non della violenza.
Ma perché le religioni si trasformano in strumenti di paura? A questa domanda ha provato a rispondere Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio. L'ex ministro ha descritto la «società urbanizzata» come una dimensione dai «confini mobili», dove le religioni devono vivere insieme. L'insicurezza sulle proprie radici può generare paura: «Nel mondo globale l'uomo non sopporta di essere senza radici e si rifugia nel fanatismo». La «rinascita delle religioni», che la modernità dava per moribonde, «ha significato fanatismo e conflitto tra religioni».
Anche il cardinale Jean-Louis Tauran, ha analizzato il «ritorno del sacro» dopo il marxismo: «Un ritorno accompagnato dall'idolatria. Tolto Dio, viviamo in un mondo inumano. Oggi il problema non è l'ateismo, ma l'idolatria. Dobbiamo combattere l'idolatria e il materialismo. I responsabili religiosi devono promuovere pace e concordia e la religione deve favorire il rispetto reciproco e la pace sociale».
Definiti gli obiettivi condivisi, Jawad Al-Khoei, segretario generale dell'Al-Khoei Institute (Iraq), ha provato ad indicare possibili strumenti per trasformare le religioni in promotrici di pace: «Promuovere il consolidamento dei denominatori comuni. Includere, nel dialogo interreligioso, tutte le classi sociali. Promuovere una comunicazione costruttiva. La mancata comunicazione crea infatti ignoranza nei confronti dell'altro. Da qui nascono stereotipi e diffidenza».
Eppure ci sono «molti denominatori comuni tra islam e cristianesimo, tra sciiti imamiti e cattolici», ha sottolineato Waleed Faraj Allah, della Facoltà di Teologia di Kufa (Iraq): «Maometto e Cristo hanno fatto di tutto per diffondere la pace. Islam e cristianesimo vogliono raggiungere una vera pace sulla terra».
Secondo il cardinale Reinhard Marx, «la società moderna e pluralista è soddisfatta quando le religioni funzionano, perché promuovono azioni morali». Per Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, «i credenti devono avere responsabilità e una simpatia immensa verso l'uomo così com'è». In questa costruzione, la famiglia come «palestra di pace» può svolgere un ruolo fondamentale. «E necessario - ha affermato l'arcivescovo Vincenzo Paglia promuovere tra i credenti delle diverse religioni e gli uomini di buona volontà una convergenza di attenzione per riportare la famiglia al centro dell'attenzione della società, sia civile che politica».


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