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5 Avril 2015

Lo scudo del Vaticano: "Difendete i nostri fedeli dalle persecuzioni"

Appello della diplomazia della Santa Sede ai governi. Pronti corridoi di fuga per i cristiani sotto attacco

 
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Le parole del Papa al Colosseo sui cristiani «perseguitati e crocifissi sotto i nostri occhi e spesso con il nostro silenzio complice», dicono di una preoccupazione crescente oltretevere per la sorte dei fedeli in più regioni del mondo. Dinanzi a un martirio che sembra senza fine la diplomazia vaticana, in testa la segreteria di Stato guidata dal cardinale Pietro Parolin, lavora affinché la comunità internazionale non resti a guardare. La road map oggi è una, la mozione presentata a metà marzo all'Assemblea del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra dal Libano e dalla Federazione Russa di Vladimir Putin in partnership con la Santa Sede rappresentata da monsignor Silvano Tomasi, Osservatore permanente vaticano presso l'Onu. Nel testo, si chiede di sensibilizzare la comunità internazionale affinché sempre più Paesi inviino aiuti ai cristiani e alle altre minoranze oppresse dal fondamentalismo islamico, «cosìche possano sopravvivere e difendere i loro diritti». Lo scopo politico è quello di costituire una coalizione, la più ampia possibile, che fermi il genocidio. Lavorando sempre con le armi della politica e, insieme, rigettando il concetto di "guerra giusta" che qualcuno, proprio in queste ore, ha cercato di evocare. L'auspicio è che si arrivi presto «a ricostruire società plurali sane e sistemi politici solidi, in grado di garantire i diritti umani e le libertà fondamentali per tutti».
La diplomazia vaticana muove azioni mirate anche sul territorio seguendo due direttrici principali. Da una parte cerca di evitare la diaspora, di cui si lamentano tutti i patriarchi mediorientali e i vescovi delle Chiese locali, dai Paesi in sofferenza, sostenendo con ogni mezzo le popolazioni, non soltanto quelle cristiane. È da leggere in questo senso la visita di questi giorni del cardinale Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide, in Iraq: sostenere una popolazione stremata dalla violenza jihadista, portare l'affetto del Papa con l'auspicio che si trovino soluzioni affinché nessuno sia costretto a fuggire. «In effetti - dice padre Giulio Albanese, direttore di Popoli e Missione, per lungo tempo missionario in Africa - se è vero che in diversi Paesi del Medio Oriente a essere perseguitati sono soprattutto i cristiani (ma non solo ), non è così in altre regioni. In Kenya, ad esempio, è avvenuto due giorni fa un atto di terrorismo. Gli assalitori hanno colpito i cristiani perché associati all'Occidente e perché sapevano che la notizia avrebbe avuto rilievo internazionale. Ma Al Shabaab ha commesso attentati anche contro i musulmani di cui in pochi hanno parlato. E il Vaticano sa bene che leggere questi attacchi come l'evidenza di una guerra di religione in atto significa fare il gioco degli estremisti. E in questa trappola oltretevere non si vuole cadere».
Ieri è stata l`agenzia dei vescovi italiani ( Sir) a dare risalto alle iniziative dei Paesi europei verso «i fratelli perseguitati», un «aiuto per restare». E, infatti, la tela vaticana lavora attraverso i nunzi e i vari vescovi locali, perché la popolazione, se debitamente protetta, resti. Nei casi in cui non è possibile, si lavora anche attraverso le Chiese locali per aprire canali di fuga o di riparo e accoglienza, ma soltanto come extrema ratio. Anche in Kenya la consapevolezza della comunità cristiana è che il governo avrebbe dovuto e dovrebbe fare di più. Secondo padre Nicolas Mutua, parroco a Garissa, infatti, l'attacco ai cristiani non sarebbe giunto in maniera del tutto inaspettata. La comunità aveva subito minacce. «Me lo aspettavo perché eravamo stati minacciati», ha raccontato il sacerdote a Radio Vaticana, aggiungendo di non essere tranquillo anche se la polizia protegge normalmente le chiese.
C`è un secondo livello sul quale lavora la Santa Sede, ed è la riproposizione a tutto campo del dialogo interreligioso. Un'azione a cui lavora con forza il cardinale Jean-Louis Tauran, che guida in merito un dicastero vaticano. Spiega Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio che da anni lavora in questo senso in tutto il mondo, che «già Tauran pochi giorni fa ha richiamato la necessità che siano gli stessi musulmani a sollecitare i propri fratelli ad aprirsi a un dialogo costruttivo, perché soltanto il dialogo apre strade di pace». Insieme, dice Impagliazzo, in Vaticano come nelle comunità cristiane del mondo, «cresce la consapevolezza che un'idea di cristianesimo si sta affermando proprio a motivo delle persecuzioni: un cristianesimo umile, mite, che accetta violenza e persecuzioni, e che proprio per questa resa ha tutto da insegnare ai potenti e ai prevaricatori
»


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