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28 Juillet 2015

L'opinione

Nel Dna del Veneto ci sono i geni dell'accoglienza

 
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In questo momento in Veneto si discute quotidianamente sul tema "profughi". Si registra un clima di chiusura e di disprezzo nei confronti dei migranti. Le parole gravi e i recenti scontri a Quinto di Treviso chiedono, non solo di condannare la violenza ma anche di fermarsi a riflettere. Soffiare sul fuoco dell'intolleranza e della paura verso lo "straniero" è pericoloso: espressioni razziste e violente contraddicono profondamente la storia e la cultura del Veneto. Sono convinta inoltre che, davanti ai richiedenti asilo, vi sia un altro volto del Veneto, accogliente e solidale. Il tema dei profughi diventa allora l'occasione per dirci insieme chi siamo, o chi vogliamo essere. Quale l'identità veneta? Vorremmo partire da qui: c'è una grande tradizione da ereditare, che ci guida a comprendere le sfide di oggi. Il Veneto ha nel suo Dna i geni della solidarietà e dell'accoglienza. Dai missionari veneti, Comboni tra tutti, alle Casse rurali, nate in Veneto, alla Caritas nata a Padova, al numero imponente di volontari che si mobilitano in caso di emergenze o catastrofi naturali.
Tuttavia oggi sembra esserci un corto-circuito della solidarietà, legato alla crisi, alla paura di perdere le proprie ricchezze per cui gli altri sono visti come nemici, soprattutto i diversi, i poveri, gli stranieri e i profughi. Così si crea un guasto nel tessuto sociale. Come ripararlo? Credo che questo debba essere il tempo della solidarietà e dell'incontro a partire dalle istituzioni fra di loro fino ai cittadini. Vorrei dire, anche sulla base del radicamento di 
Sant'Egidio nella realtà del Veneto, l'accoglienza è molto più larga della protesta anche se fa meno rumore. Ne siamo testimoni diretti là dove, come a Padova, Treviso, Verona, Mestre, Thiene, Schio, Trieste, per citare alcune città del Veneto e del Nord Est dove siamo presenti, le iniziative della Comunità di Sant'Egidio hanno coinvolto non solo altre associazioni ma anche un rilevante numero di uomini e donne che spontaneamente hanno offerto il loro aiuto. È un fenomeno che riscontriamo analogo su tutto il territorio nazionale da Catania alla Stazione centrale di Milano. Tanti hanno messo a disposizione la casa e non solo per ragioni economiche.
La solidarietà e l'accoglienza sono un nodo cruciale. Di fronte alla prospettiva di nuovi arrivi, alle tragedie immani di un mondo globalizzato, direi che è necessario vincere la paura e l'ignoranza dell'altro. L'incontro salva perché mette in moto tante energie. Bisogna lavorare di più su questo. A Padova, gli universitari della Comunità di 
Sant'Egidio hanno stretto amicizia con i profughi. Si tratta spesso di giovani uomini, che chiedono amicizia, di passare del tempo assieme, come anche di aiutare, di essere utili. Si la solidarietà è contagiosa: i profughi desiderano aiutare e aiutano! Molti si sono resi disponibili ad aiutare le persone più fragili nei quartieri dove siamo presenti: gli anziani, le persone di strada. La loro presenza non solo è simpatica, originale ma anche di grande sostegno. Allora perché creare allarmi? Ricominciare dall'incontro, dalla solidarietà, dal linguaggio ci permetterà di comprendere che non siamo invasi e che, con la collaborazione di tutti, possiamo costruire un futuro migliore a partire da oggi, per noi e per quelli che verranno.


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