Da Barcellona a Livorno, l'apertura va «in porto»

Idee e progetti a "Medi", il convegno promosso dalla Comunità di Sant'Egidio con i rappresentanti delle città portuali del Mediterraneo

Dall'89, con la caduta del muro di Berlino, la «cortina di ferro» si è spostata progressivamente da Est a Sud. Cortina di naufragi, immersa nel mare eppure così inerte e dura tanto da non volersi fare scalfire. Ma il Mediterraneo è «complesso e sfugge alle semplificazioni ideologiche», avverte Andrea Riccardi al convegno internazionale "Medì", promosso dalla Comunità di Sant'Egidio a Livorno, con i rappresentanti delle città portuali del Mare Nostrum.
I corridoi umanitari aperti da Sant'Egidio con la Federazione delle Chiese evangeliche (Daniela Pompei ha parlato di superamento dei «decreti di impossibilità») rispondono alla vocazione più profonda del mare, a quella «cultura del porto» e dell'approdo a cui è corrisposta, purtroppo, una lunga assenza di politica di pace. Ora si guarda con apprensione alla Libia, ma deve essere chiaro che «solo i libici possono sollevare la situazione del loro Paese» e non si deve cedere «alle chemioterapie delle guerre», come nel caso dello «sciagurato intervento» avvenuto alcuni anni fa «senza un piano alternativo».
A Medì i porti e le loro città sono posti in relazione alla storia e allo sviluppo economico e culturale, per dissipare quella paura che crea muri, arroccamento, una chiusura, come nel caso dell'Ungheria che col muro rischia di condannarsi al suicidio demografico. Meglio le città porto che esprimono una cultura di relazione che crea futuro, molto concretamente.
Civitavecchia, da porto per andare in Sardegna, è diventato il primo porto turistico del Mediterraneo. «L'Europa - dice il Sindaco Antonio Cozzolino - non ha archiviato la paura degli immigrati. Cerco di far capire alla gente che non deve avere paura dell'accoglienza». Per Filippo Nogarin, sindaco di Livorno, «l'anima della mia città è nel porto e nella contaminazione». C'è una cesura da superare «tra città e porto vissuto da molti come un non luogo».
L'esperienza del Porto di Barcellona, declinata a Medì dal suo direttore Adolfo Romagosa, viene incontro a questa esigenza di un rapporto virtuoso tra porto e città, ad esempio attraverso piani di sostenibilità che includano i lavoratori locali nelle attività e con misure che guardino ai cittadini come clienti del porto. Intanto da Paese di emigrazione il Marocco sta diventando Paese di immigrazione. «Siamo sommersi e cerchiamo soluzioni per aiutare le aree più povere», spiega Ahmed Khalid Benomar, responsabile dei grandi progetti per il porto di Tangeri.
Leyla Ferman, giovanissima e tenace yazida, della Municipalità Metropolitana di Mardin, sottolinea: «La multiculturalità è la base per il nostro futuro. Gli yazidi chiedono aiuto. Bisogna fermare l'Isis e dare speranza alle persone». Mardin è una città di montagna ma vi trovano rifugio nel loro pellegrinaggio tanti profughi che scappano da Siria e Iraq e vogliono raggiungere il Mediterraneo.
C'è una relazione tra cultura del porto e cultura dell'accoglienza che crea vicinanza tra luoghi lontani. È il caso di Lampedusa, che per il vice sindaco Damiano Sferlazzo «da piccola comunità di pescatori e avamposto ostile di Italia in mezzo a una tomba liquida è diventata luogo di rinascita per tanti. Mentre le tv parlavano di invasione noi restituivamo dignità». 


[ MICHELE BRANCALE ]