«Sono viva, mi chiedo ancora se tutto questo è vero»

Migranti. Il primo giorno alla comunità di Sant'Egidio dei profughi siriani portati a Roma dal Papa

Quds, che in arabo significa Gerusalemme, è l'unica del gruppo che sembra essersi già ambientata. Nel cortiletto di ghiaia della scuola di italiano per stranieri che gestisce SantEgidio, a Trastevere, questa bimbetta di otto anni attira l'attenzione per la vivacità. Gonfia palloncini, saltella, raccoglie fiori e ha fatto comunella con una coetanea romana. La vita sembra ricominciare di nuovo. La mamma, Suheila Ayad, seduta in un angolo, osserva intimorita quello che la circonda. A Deir es Zor, avamposto dell'Isis, faceva la sarta, adesso chissà. «E' già tanto essere vivi». E' tutto insolito, irreale e incomparabile, come stare dentro a un film. «Mi chiedo ancora se è vero». La prima giornata a Roma dei 12 fortunatissimi profughi salvati da Papa Francesco ha i contorni di un racconto fantascientifico.
L'iscrizione alla scuola di italiano che frequenteranno a partire da oggi, e poi le interviste alle tv, dalla Bbc alla Ap television. Proprio loro che fino a poco fa vivevano in un campo di detenzione per immigrati. Privi di tutto, senza nemmeno un cambio. Poi è successo che venerdì sera alle tre famiglie siriane è stato comunicato che sarebbero partite per l'Italia, domenica, sull'aereo papale. «Ce lo hanno detto alle dieci di sera. Nessuno ci credeva ovviamente. Pensavamo a una specie di sbaglio, o a uno scherzo». Inizialmente al posto di queste famiglie musulmane erano state individuate tre famiglie cristiane. Anch'esse siriane ma purtroppo sbarcate sull'isola dopo il 19 marzo, cioè dopo gli accordi con la Turchia.
Nel cortile di Sant'Egidio sono le donne a parlare. Non vi sentite un po' a disagio, voi che siete musulmani osservanti, a dovere la vostra salvezza al Papa? Suheila sorride e per un attimo gli occhi si velano. «Un angelo è venuto a salvarci. Ieri avevo tanta voglia di parlargli al Papa, di dirgli grazie, ma io non parlo che l'arabo. Ora imparerò l'italiano». Si assicura che l'interprete mi traduca bene e continua. «Dal momento che il Papa ha pensato a noi, è stato come se ci avesse salvato un padre. Sì, un padre». Il figlio maggiore, Rashid, 18 anni, racconta la fuga da Deir es Zor, fino a Smirne, e poi il viaggio di notte, su un gommone strapieno. «I soldati dell'Isis quando sono arrivati da noi non hanno incontrato resistenze. Hanno avuto la strada libera. Erano d'accordo con i soldati di Assad. E' accaduto così anche per la città di Homs. Si sono messi a uccidere cristiani e musulmani. Quelli non sono musulmani, non hanno religione, sono bugiardi. Dicono che agiscono nel nome dell'Islam ma non è vero. Uccidevano e non erano mai sazi. Hanno raso al suolo chiese e moschee, indistintamente». E la notte è un tunnel di incubi. «Non riusciremo mai a dimenticare».


[ Franco Giansoldati ]