La tragedia di Centocelle. Il dolore della madre

La tragedia di Centocelle. Il dolore della madre
La mamma consolata dai parenti durante la veglia per le tre figlie decedute nel rogo. A Trastevere il ministro Fedeli e il prefetto. Il Campidoglio: «Dichiariamo lutto cittadino»

La cerimonia
Se lo tiene stretto al petto, l'ultimo degli undici figli, un anno appena. Avvolto in una sciarpa viola e grigia, a volerlo proteggere da un dolore che il piccolo non può ancora distinguere. Mamma Mela soffre ma quello che colpisce di più è il suo sguardo: occhi spaventati, quasi terrorizzati e disorientati in mezzo a tutta quella gente che ieri pomeriggio ha pregato insieme a lei nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per la scomparsa delle piccole Angelica e Francesca e ancora Elisabeth: le tre figlie morte nell'incendio di Centocelle, per le quali il Campidoglio proclamerà lutto cittadino. Mela attraversa in silenzio la piazza, circondata dai membri della Comunità di Sant'Egidio. La Basilica è più per loro che per i rom. Appena trenta i nomadi arrivati in centro dai campi di Gordiani, Massimina, Montemario. E poi certo, le istituzioni: il ministro della Scuola, Valeria Fedeli, il prefetto di Roma, Paola Basilone, il vicepresidente della regione Lazio, Massimiliano Smeriglio. Manca il sindaco, Virginia Raggi. Ma lei, Mela, quasi non se ne accorge. Non le interessa. Resta in silenzio, ascolta le preghiere e i canti. Abbraccia i figli, si consola con la sorella. «No per favore non mi fate parlare, vi prego non voglio», supplica mentre si lascia alle spalle l'altare. Con lei anche Christian, uno dei quattro figli presenti alla cerimonia. Il più grande. Un ragazzo che sta diventando uomo.

«Cosa faremo? - sussurra mentre
esce dalla chiesa - vedremo, speriamo che li trovino», gli assassini delle sorelle. Il marito Romano, invece non c'è. Ha dovuto sbrigare le pratiche per capire come e in che modo poter celebrare i funerali delle figlie dopo esser stato ascoltato in procura. E in chiesa l'atmosfera che si respira, tra le candele accese una ad una dai presenti per ricordare anche tutti i bambini rom morti a Roma, arsi dal fuoco nelle baracche o caduti nel Tevere, mischia fede e rimproveri. Moniti verso l'amministrazione del Comune rea di non essersi ancora assunta la responsabilità di sanare una piaga sociale come quella dei nomadi nella Capitale. Dal pulpito, durante l`omelia, le parole sono chiare: «nessun bambino può essere rosicchiato dai topi mentre dorme in una baracca». E alla fine ci sono proprio loro, i bambini, che con le maglie colorate, ringraziano il Pontefice e fanno leggere la frase incisa sulla schiena: «Non sono pericoloso, sono in pericolo».
Al campo
«Hanno fatto una cosa grossa, troppo grossa. Uccidere una ragazza e due bambini, sono miei cugini e Mela è mia zia. Qui ci sono tanti parenti nostri. Laggiù abitano le due sorelle di Mela, dall'altra parte una nonna paterna». Qui al campo rom di via dei Gordiani, con le casette di lamiera, dove per un periodo hanno vissuto anche Romano Halilovic, la moglie e gli undici figli. «Ma sono rimasti poco qui, poi sono andati via. Vivevano nei parcheggi», racconta la nipote di Mela. Adesso si erano accampati nello spiazzo del centro commerciale Primavera, a cinque minuti da via dei Gordiani. «Forse giravano perché avevano paura, io non lo so. Ma se c'era qualcuno che aveva problemi con il padre e la madre, perché fare del male ai figli? Che c'entrano quei bambini?».
L'incontro
Nel campo di via dei Gordiani adesso si teme «la guerra». Perché appena si sa chi è stato, si sfoga qualcuno, «il pericolo è che quelli della famiglia vanno e si vendicano. Perché ci sono tre figli». Sospetti? «Forse il padre li ha, solo lui può sapere». Oggi le comunità rom si ritroveranno alle 17,30 nel parcheggio del rogo, a pregare. «Tutti quanti, anche quelli degli altri campi, perché dobbiamo trovare la pace. Non vogliamo l'odio. Già ci odiano tutti gli altri. Ma tra noi, l'odio no».
Tre roselline rosse appassiscono sull`asfalto bruciato. Scarti anche quelle. Qualche mazzo di fiori sul muretto davanti ai segni lasciati a terra dal fuoco, pochi per una storia così. Si avvicina a pregare in silenzio anche il tassista del 3570 che quella notte ha chiamato i soccorsi e ha portato nel piazzale i vigili del fuoco che non trovavano quella strada. «Una cosa ripugnante. Anche se sono rom sono sempre esseri umani», un pensionato sta lì a guardare i fiori. Molti li ignorano. «Razzisti? Ci siamo diventati: con tutti i furti che ci fanno». Un'infermiera se ne va con gli occhi bassi: «A me questi mi fanno paura, gli indifferenti, quelli che dicono: se la sono cercata».


[ Maria Lombardi, Camilla Mozzetti ]