«Il dialogo non può fermarsi» titola il quotidiano della Cei, Avvenire sintetizzando l'appuntamento più delicato del pontificato: l'incontro tra Benedetto XVI (che ieri ha di nuovo condannato il nazismo) e gli ebrei romani. Tra eccezionali misure di sicurezza, oggi pomeriggio il Papa attraversa il Tevere per raggiungere prima il ghetto dove nel 1555 il Papa inquisitore Paolo IV chiuse gli ebrei e poi la sinagoga in cui Wojtyla abbracciò i «fratelli maggiori nella fede». Benedetto XVI renderà omaggio alla memoria dei 1.022 ebrei romani che nel 1943 furono deportati ad Auschwitz (solo in 14 sopravvissero allo sterminio) e sosterà sotto la lapide che ricorda l'attentato compiuto nel 1982 da terroristi palestinesi.Dietro le quinte, la mediazione. Quando la bufera per Pio XII beato sembrava sul punto di travolgere la visita papale in sinagoga, «Sant'Egidio ha avuto un ruolo molto importante», evidenzia il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Non a caso domani i due vescovi e il fondatore della Comunità (Paglia, Spreafico, Riccardi) saranno al Tempio Maggiore durante la visita di Benedetto XVI. Spiega al riguardo il fondatore Andrea Riccardi: «Abbiamo sempre creduto che la comunità ebraica romana abbia un ruolo particolare di ponte tra Chiesa cattolica e ebraismo. Benedetto XVI percorre e rafforza questo ponte con convinzione».
Ogni 16 ottobre, data della razzia degli ebrei di Roma, Sant'Egidio e la Comunità Ebraica organizzano un'affollata marcia da Trastevere al luogo della deportazione. «L'impegno è che mai più gli ebrei, o qualsiasi altra comunità, siano lasciati soli, come fu nel '38 con le leggi razziali», aggiunge Riccardi. Del resto, all'«Onu di Trastevere», valutata dalle agenzie come il decimo potere a livello mondiale e candidata ieri dal Pd Sarubbi al Nobel per la pace 2010, sono abituati alle missioni complicate. Nella sua visita a Roma del 2007 Bush chiese di fare un solo incontro al di fuori di quelli istituzionali obbligatori: Sant'Egidio. Per Wojtyla erano la «terza sezione» della Segreteria di Stato, una diplomazia parallela (50 mila membri in 70 Paesi).
Ma ancora infuria la polemica. «Non vado in sinagoga per un imbarazzante vertice diplomatico che non c'entra nulla con il dialogo interreligioso», afferma Amos Luzzatto, ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche: «Su cosa potrei confrontarmi con Ratzinger? Sulla riesumazione della preghiera per la conversione degli ebrei, sul ritorno nella Chiesa dei lefebvriani che negano la Shoah, sulla beatificazione di Pio XII che scomunicò i comunisti ma ignorò le persecuzioni naziste?». E aggiunge: «Incontro ogni giorno cattolici amareggiati quanto me per i passi indietro della Chiesa risfietto al Concilio. Wojtyla in sinagoga nel 1986 recitò un salmo e fu un gesto storico, questa visita è una copia dannosa, una ripetizione inservibile». Ribatte l'Osservatore romano che «pochi sono ì cattolici del Novecento che hanno fatto tanto quanto Joseph Ratzinger (come teologo, vescovo, custode della dottrina cattolica e Papa) per avvicinare ebrei e cristiani». Il Papa, precisa Riccardi, «è stato rappresentato come qualcuno che viene a mettere ordine, un uomo duro, invece è attento, rispettoso, sensibile ai più bisognosi». A Napoli, invece, «alla giornata di preghiera per la pace ci ha spronati ad andare avanti, ad approfondire la radice della fede per vivere consapevolmente con gli altri e costruire una vera civiltà del convivere».
[GIA. GAL.]
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