Le loro storie: il mio cuore è ad Aleppo

Accoglienza

'«Da dove venite?». «Da Aleppo». «Aleppo è la città martire!». Il siriano Kevork racconta così lo scambio avuto con il Papa nel refettorio del Sacro Convento. Vicino a lui, Janin, 7 anni e da poco di nuovo sui banchi di scuola, mostra fiera il braccialetto donatole dal patriarca Bartolomeo. Ai tavoli dove hanno pranzato leader religiosi, testimoni e uomini di cultura, c'erano anche 25 rifugiati.
L'accoglienza - è stato ribadito - è impegno comune delle fedi. Gli ospiti provengono dal Cara di Castelnuovo di Porto (Roma), dove lo scorso Giovedì Santo il Papa ha lavato i piedi ai rifugiati, oppure vivono in strutture della Caritas di Assisi o della Comunità di Sant'Egidio. Sono fuggiti dalla "Terza guerra mondiale a pezzetti" di cui parla spesso Francesco.
Vengono dalla Nigeria insanguinata da Boko Haram, Paulina ed Evelyn. È fuggita dall'Eritrea, Enes. Dal Mali, il ventitreenne Alou, sopravvissuto a un viaggio su un barcone dalla Libia alla Sicilia. Ci sono i siriani arrivati con i corridoi umanitari di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche e Tavola valdese. Rasha, musulmana di origine palestinese, è la mamma di Janin e viveva nel campo profughi di Yarmouk, periferia di Damasco. Sono arrivati con i corridoi umanitari anche cinque cristiani siriani: i cattolici assiri Fadi e Ruba, fuggiti da Hasake, e gli armeni aleppini Osep, Kevork e Tamar. Quest'ultima, insegnante prima della guerra, è intervenuta nel pomeriggio sul palco della cerimonia conclusiva.
«Quando è scoppiato il conflitto - ha detto commossa - hanno cominciato a piovere missili che distruggevano le case, sento ancora le urla dei bambini che cercano i genitori». «Abbiamo resistito tre anni - continua - nella speranza che la guerra finisse, poi hanno bombardato la nostra casa e siamo scappati in Libano con i miei genitori anziani». Dopo due anni, tra le tende del campo profughi, la svolta: «Degli angeli ci hanno parlato della possibilità di vivere in pace e dei corridoi umanitari. Da quattro mesi vivo in Toscana e cerco di integrarrni in questo bel paese, l'Italia». Il pensiero però rimane per Aleppo: «Quando pronuncio questo nome, mi si stringe il cuore».


[ Stefano Pasta ]