La provincia di Ninive «modello di integrazione religiosa e sviluppo sociale per tutto l'Iraq» e, forse, per l'intero Medio Oriente: è la promessa, o piuttosto la visione, del presidente del consiglio provinciale Bashar Kitti (a Roma su invito della Comunità di Sant'Egidio), convinto di poter trasformare in un esempio di coabitazione la seconda regione più estesa del Paese, un territorio che condivide l'intero confine occidentale con la Siria mentre a Sud si estende la provincia di Anbar, in mano ai jihadisti dell'Isil che hanno Falluja come roccaforte. Impresa possibile? Pare di sì, a patto di tutelare il principio dell'autonomia regionale «che dovrebbe essere garantito dalla nuova costituzione, ma non è stato ancora applicato del tutto», spiega Kitti. Di sicuro c'è che dei circa 400mila cristiani d'Iraq (prima del 2003 erano 1,5 milioni) più o meno la metà abita nella piana di Ninive assieme ad altre minoranze e che la zona sta conoscendo una certa ripresa dell'attività economica.
Un piccolo Iraq, come lo definisce Anwar Hadaya, unico deputato cristiano e presidente della Commissione economia e sviluppo, anche lui a Roma con Kitti: «Abbiamo preso decisioni importanti a favore delle comunità cristiane e la maggior parte ha scelto di vivere nella nostra provincia. Abbiamo dedicato loro una buona parte dei progetti di sviluppo previsti dal governatorato». Una scommessa che si può vincere su due fronti: da una parte la lunga tradizione di convivenza di culture differenti (curdi, arabi, musulmani, cristiani) dall'altra la necessità di una maggiore autonomia. Nel mezzo il voto di dieci giorni fa, con la promessa del premier uscente Nuri al-Maliki di cercare un governo aperto a tutte le minoranze, cristiana compresa. Anche se il voto non sembra essere la questione principale: «Consideriamo le elezioni un passo importante per la stabilità, ma non sono tutto.
In passato abbiamo visto difficoltà importanti per l'applicazione della costituzione e ora non vediamo segnali incoraggianti. Più potere avranno i consigli provinciali è meglio sarà per tutti. Il governo non può continuare a ignorare la costituzione e portare avanti una visione centralistica». D'altronde la sicurezza della regione è garantita al momento dai militari curdi e le forze governative non sono presenti. Eppure la violenza contro i cristiani non si ferma, anche a Nord di Mosul, non soloal confine con la provincia di Anbar: «Questo però - spiega Kitti - è un problema che riguarda tutta la regione». «Certo non si tratta di un problema di facile soluzione - chiarisce Hadaya - il passaggio da una dittatura alla democrazia è molto complicato. E le influenze regionali hanno portato il conflitto sul piano religioso. Nonostante tutto siamo ottimisti, il processo va avanti ma ci vuole tempo. Abbiamo un'opportunità molto concreta grazie alla collaborazione del consiglio provinciale. Se riusciremo ad avere uno sviluppo economico questo porterà anche a una convivenza pacifica».