Ci sono leader religiosi che incitano alla violenza. Ma chi parla di violenza non è né leader, né religioso». Non usa mezzi termini l'ulema Maytham al-Salman, presidente del Bahrain Interfaith Center. Parole forti, particolarmente apprezzate da Marco Impagliazzo (le definisce «la migliore sintesi» dell'incontro), presidente della Comunità di Sant'Egidio che ieri ha ospitato per un'intera giornata rappresentanti della Chiesa cattolica e delle istituzioni sciite per affrontare il tema della «responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale».
Il convegno è stato organizzato in partnership dalla Comunità fondata da Andrea Riccardi e dalla Imam al-Khoei Foundation, legata alla massima autorità religiosa dell'Islam sciita iracheno, il Grande Ayatollah Ali Sistani.Vi hanno partecipato una decina di dignitari religiosi sciiti di primo piano provenienti da vari Paesi ed esponenti della Chiesa cattolica quali il cardinale tedesco Reinhard Marx, presidente della Comece e membro del C9, il porporato francese Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe e l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del pontificio Consiglio per la famiglia. Presenti anche monsignor Vittorio Ianari di Sant'Egidio e Andrea Riccardi che ha ricordato come il dialogo tra cattolici e sciiti sia «un cammino molto difficile», ma «importante», tra due religioni «molto diverse che però vivono un momento molto difficile, vivono la sfida del martirio, della persecuzione, della mancanza di libertà religiosa in alcune parti della terra».
Nel suo intervento il leader sciita libanese Mohammad Hassan al Amine, storicamente avverso agli Hezbollah, ha auspicato una «autocritica» perché l'«islam storico» non è stato sempre coerente con gli insegnamenti del Corano offrendo una «immagine orrenda» di sé. Quindi, ha spiegato, «è dovere dei dotti togliere ogni legittimità alla violenza e al terrorismo che vengono perpetrati in nome dell'Islam».
Jaafar Al-Hakeem, del seminario teologico di Najaf, ha da parte sua tessuto l'elogio del «pensiero moderato», sottolineando come nello "sciismo" iracheno quella dei religiosi sia una leadership morale e non direttamente politica. Mentre Jawad al-Khoei, segretario generale della Fondazione sciita irachena, ha voluto chiarire che le aggressioni dei jihadisti alle minoranze in Siria e Iraq «non hanno un timbro religioso» perché «il terrorismo non distingue tra musulmano e cristiano, sunnita e sciita. Non si tratta di una guerra di religione, ma per il potere».
Il cardinale Tauran ha osservato che «il ruolo dei responsabili religiosi cosa può essere se non quello di costruzione e protezione della pace». «Grave, inoltre, - ha poi aggiunto il porporato - è l'incitamento alla violenza da parte dei leader religiosi, per esempio in Pakistan contro i cristiani, sui quali spesso pende la falsa accusa di blasfemia».
I partecipanti al Convegno assistono oggi all'udienza generale di papa Francesco in Vaticano.
GIANNI CARDINALE
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