Volti stravolti dal sole e dal mare, braccia protese per saltar giù prima possibile da carrette galleggianti. Ad afferrare quelle mani uomini in divisa, volontari del salvataggio e semplici pescatori tra le onde. E a terra, da entrambi i lati del Mediterraneo, uomini e donne della solidarietà, che dedicano la propria vita a salvare quella di chi scappa da fame e guerra. Sono questi i nuovi "giusti" che curano le ferite del corpo e dell'anima e cercano d'identificare chi non sopravvive alla traversata della speranza, per dare ai parenti una tomba su cui piangere. Si va oltre il ruolo di marinai, oltre quel dovere interiore di trarre in salvo esseri umani e quel diritto che impone di accogliere i profughi; così si ha voglia di adottare i bambini arrivati in Italia senza genitori, si fa nascere in nave nuove vite che sovente prendono il nome proprio dei soccorritori. A loro Demos (Democrazia solidale) e il gruppo parlamentare Per l'Italia-Centro democratico della Camera dei deputati hanno voluto dedicare un incontro a Montecitorio, perché potessero testimoniare ciò che fanno ogni giorno.
«I giusti del passato sono quelli che salvarono vite dalla Shoah e dai Gulag - ricorda l'organizzatrice del convegno, la deputata Milena Santerini - e non sono tanto diversi da quelli che, seguendo un obbligo morale, oggi si spendono per salvare quelle dei migranti». Al di là dei discorsi buonisti e dello scarico di responsabilità, loro «agiscono con impegno, umanità e tanta professionalità», le fa eco il senatore Lucio Romano, che insieme al capogruppo Lorenzo Dellai non ha fatto mancare la sua presenza. La stessa passione che ha consentito ad Alganesh Fessaha (Associazione Gandhi) di «salvare dalla tortura 750 persone in Sinai, assieme a un beduino salafita. Io cristiana, lui musulmano: uniti per salvare vite». Oppure quell'amore per la Sicilia che ha spinto Regina Catambrone a fondare insieme alla sua famiglia italo-americana Moas (Migrant offshore aid station), un servizio di soccorso in mare «che nel 2013 ha strappato alla morte 3.500 persone e dal 2 maggio altre 1.500, perché crediamo innanzitutto al diritto alla vita e all'impossibilità di voltare le spalle alla sofferenza». Storie che si sommano ai 200mila migranti salvati finora e ai mille scafisti arrestati. «Ma questo sistema emergenziale - per il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi - deve diventare strutturale» ed europeo.
In mare o a terra l'accoglienza va sempre oltre il proprio incarico. E «non può essere pensata slegata dall'integrazione». Lo ricorda Daniela Pompei della Comunità di Sant'Egidio, spiegando l'impegno dei giovani siciliani «nell'organizzare dapprima l'emergenza e poi l'inserimento sociale dei profughi». Ci sono però almeno 3.188 corpi non riconosciuti, avverte Cristina Cattaneo dell'università di Milano, che auspica «una banca dati ante mortem e una task force UE di raccolta delle informazioni»
Alessia Guerrieri
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