La pace è sempre possibile. La speranza di un mondo diverso non è ancora uccisa. Nonostante le apparenze. Nonostante gli squilibri e le ingiustizie. Una scommessa nella quale vale la pena credere. Per la quale lottare e pregare. La pace è fatta da uomini, come la guerra.
E' uno dei temi che ha caratterizzato la seconda serata della Settimana sociale affidata a don Angelo Romano, responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di S. Egidio, docente di storia contemporanea alla Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana. Un esperto di questioni internazionali, all'interno delle quali ha a lungo studiato i processi di mediazione in diversi paesi, del continente africano soprattutto.
Romano, e con lui la Comunità di S. Egidio, sono fattivamente impegnati in prima linea per vincere la scommessa più preziosa per costruire una società internazionale che riscopra la forza del dialogo.A partire da quello interreligioso, se è vero che le religioni, possono, devono anzi, poter essere veicolo di pace, in un mondo sempre più difficile da decifrare e comprendere. Nel quale, ormai pianificare la guerra è purtroppo molto facile.
Il dialogo è un'arte di vivere. Media, avvicina, lega, allarga lo sguardo verso orizzonti sempre più grandi nei quali il vicino e il lontano riescono a vivere in perfetta simbiosi.
Della necessità di appropriarsi di quest'arte, la Comunitàdi S. Egidio ha fatto la ragione stessa del suo esistere e della forza sempre più convincente della sua proposta declinata alla luce del Vangelo che resta l'autentico paradigma di vita. Lo dimostra quanto successo in Mozambico, terra di una guerra dimenticata e apparentemente irrisolvibile, ma "la storia è piena di sorprese", afferma Romano, evocando una costante affermazione di Giovanni Paolo II. O in Colombia, in Senegal, domani - si spera - nella martoriata Siria.
E' nella forza della preghiera, nella paziente mediazione, nella giustizia perseguita, giorno per giorno, a favore del povero - chi ama i poveri ama la pace, ricorda il prof. Romano - nella capacità di porre sempre al centro del nostro agire l'uomo, che la pace trova le condizioni del suo nascere e del suo fiorire. Una questione di cultura, insomma, prima che di fede. Di convinta determinazione che il reciproco dialogo tra le religioni rafforza la propria identità religiosa perché non ignora le differenze, ma le fa convivere all'interno di un riconoscimento, profondo rispetto e rapporto di amicizia, che pian piano diventa di reciproco amore.
Soltanto così le "schegge di guerra" diventano allora "semi di pace" e l'uomo, che nella guerra si abbrutisce, trasformandosi in lupo, ritorna ad essere se stesso.
M.C.
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