Riccardi: "L'Europa è la nuova periferia. L'Africa va salvata con la cooperazione"

Intervista
Il fondatore di Sant'Egidio: "I muri crollano sempre, inutile costruirne di nuovi"

«La geopolitica del Nuovo Millennio fa oscillare il mondo tra frontiere indefinite e periferie viventi. L'Europa diventa periferia di un mondo che, con le migrazioni, cambia volto. E la sofferenza non si contempla, si allevia con gesti concreti e politiche credibili. Altro che nuovi muri».
Andrea Riccardi, ministro della cooperazione internazionale dal novembre 2011 all'aprile 2013 è il fondatore della Comunità di Sant'Egidio. Arriva a Napoli, ospite di Antonio Mattone, responsabile napoletano della Comunità e del cardinale Sepe che ha aperto le porte del museo diocesano all'ospite romano autore del suo ultimo libro «Periferie. Crisi e novità per la Chiesa» (editrice Jaca Book).
Ormai il tema delle periferie è diventato centrale nella geopolitica vaticana di Papa Francesco. Come si concilia questa diplomazia spirituale con i Paesi europei che ricostruiscono muri più che varchi di accoglienza?
«La riflessione oggi sulle periferie ci induce a dire che i muri non hanno mai costruito nulla. Anzi i muri sono crollati, sono finiti in macerie quando i popoli hanno scelto la libertà. Le frontiere delle nostre società occidentali sono esse stesse periferie non solo esistenziali, ma economiche e culturali».
L'Europa continua a mostrarsi come una «vecchia nonna» in affanno, così come la descrisse Papa Francesco di fronte al Parlamento di Strasburgo?
«L'Europa continua a dimostrarsi miope. Tenta uno sguardo più lungo rispetto alla storia solo sull'onda emotiva delle tragedie che hanno trasformato il Mediterraneo in un cimitero. Quando l'emozione delle centinaia e centinia di morti passa, si torna alla politica dei muri. Manca totalmente una politica del Mediterraneo. L'Europa diventa così estranea, lontana rispetto ad un fatto: la maggior parte delle persone che provano ad arrivare in Europa, non sono rifugiati economici, ma è gente che scappa dalla guerra».
Il Papa ha di fatto aperto il Giubileo elevando Bangui a «capitale spirituale del mondo». Come è possibile tradurre in scelta politica una provocazione?
«Ripartendo dall'Africa, anche per l'Europa. Va sostenuto ed assecondato il nuovo pacchetto di proposte che il Governo italiano ha presentato all'Ue con l'ambizioso piano di cooperazione coi Paesi d'origine dei migranti. La linea della cooperazione, proposta nel "Migration compact", sposta la frontiera del Nuovo Millennio in Africa».
Sul tema della cooperazione abbiamo però accumulato nei decenni scorsi anche fallimenti e sprechi.
«Io andrei molto cauto su questo giudizio un pò troppo generalizzato. E' chiaro che quando si investe una miseria, non puoi avere riscontri ed effetti duraturi nel tempo. Quando arrivai al ministero per la cooperazione internazionale trovai poco più di 100 milioni di euro per i progetti con l'Africa. Si tratta di fondi molto ridotti rispetto alle emergenze dei Paesi africani».
Da sola l'Italia non ce la può fare.
«È importante il consenso che hanno riservato al piano Renzi i presidenti della Commissione Europea, Jean-Claude Junker e del Consiglio europeo, Donald Tusk d'accordo a lavorare a un piano ambizioso in Ue e G7/20 sulla cooperazione con i Paesi Terzi per frenare la migrazione».
L'Europa cambierà davvero?
«Sono ottimista. L'Europa non può dichiarare la resa rispetto alla storia».
Quanto pesa la geopolitica del Papa delle periferie rispetto alla diplomazia carismatica del suo predecessore Giovanni Paolo II?
«Ci troviamo di fronte a geopolitiche vaticane sempre aderenti ai tempi nei quali si sviluppano. Al tempo di Giovanni Paolo II il processo di globalizzazione era appena agli inizi, Al tempo di Papa Francesco le periferie sono il luogo privilegiato della presenza cristiana, non è solo una scelta di carità ma un'opzione geopolitica che ha radici nella storia del cristianesimo»


[ Antonio Manzo ]