Riccardi: È il tempo delle periferie

Il monito: Le democrature incombono dietro al populismo

Come spiegherà poco dopo Lorenzo Dellai, «la riforma costituzionale è la punta dell'iceberg». Sotto c'è una società in cambiamento, una comunità che si sente periferica rispetto a ogni decisione. Uno «spaesamento» - ha spiegato l'ex ministro Andrea Riccardi - che apre la strada «al populismo» e, in prospettiva, alle «democrature» sul modello russo o turco, dove la forma della democrazia sopravvive nella sostanza di un potere verticista.
A giudizio del fondatore della comunità di Sant'Egidio «si è verificato un divorzio tra cultura e politica, non solo per colpa della politica, ma anche per il rinchiudersi della cultura nello specialismo». «Dov'è oggi il centro?» si chiede Riccardi ricordando la celebre Medea di Pasolini. Di certo non nei governi nazionali. «L'economia non dipende più dai governi, ma dal potere anonimo dei fondi di investimento». La globalizzazione ha trasformato ogni nazione in periferia, un luogo dove non vengono prese decisioni. «I cittadini si sentono periferia e non votano più» perché tanto non serve a nulla.
«Ricordo l'entusiasmo del 1989, tutto il mondo sarebbe diventato democratico». Non è stato così. «Paura e umiliazione portano a risposte emotive, come è stata la Brexit. I populismi promettono sempre soluzioni rapide, basta indicare il nemico da abbattere per permettere il miracolo». Il simbolo di questo divenire periferia anche dell'Europa è Aleppo. «Per Sarajevo ci fu una reazione forte, per Aleppo, con tre volte il numero dei morti, no. Aleppo rappresenta la nostra periferia della coscienza».
In attesa che il frutto dello spaesamento e dell'umiliazione sia maturo, ci sono le «democrature». «Nascono sempre da un desiderio di rivincita della patria umiliata e si poggiano sui valori tradizionali». Che fare? «Ripartire dalla dimensione della città, ricostruire come dice Lorenzo (Dellai, ndr) i corpi intermedi. Riempire lo spazio immenso che Moro vedeva al di là della politica».


[ T. St. ]