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6 Marzo 2013

Primavere arabe, «un'eredità da non dissipare»

Sant'Egidio

 
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ROMA. Non è più il vento impetuoso dell'inverno di due anni fa, ma certo dal sud del Mediterraneo spira ancora, insistente, la brezza di una nuova stagione politica e sociale tutta da decifrare.

Le Primavere arabe due anni dopo? Un «grande e profondo passaggio della storia», assicura Andrea Riccardi, ritornato ieri come ministro della Cooperazione nella Comunità di Sant'Egidio. «Dopo l'entusiasmo, però, ora sta emergendo in molti il dubbio che quelle Primavere in realtà si stiano tramutando in un inverno».

Una novità che la Comunità di Sant'Egidio invita a leggere con la fatica chiesta dall'«intelligenza del presente». Lo sforzo dichiarato, sottolinea il ministro Riccardi, è di fuggire «le semplificazioni degli ultimi 20 anni che riducono tutto allo scontro di civiltà», come l'illusione che in un mondo globalizzato ci possa essere una reale estraneità tra culture. Così, Tunisia ed Egitto, usciti entrambi dalle macerie di decennali dittature, appaiono come due differenti cantieri della democrazia in terra araba e islamica.

Lo scontro, a due anni dal grido di liberazione che si levò da piazza Tahrir, è fra chi vuole il ritorno alla «prepotenza» in nome di una versione distorta dell'islam e chi lavora, proprio in nome di una corretta interpretazione del Corano, per la costruzione di una vera cittadinanza. L'obiettivo e fine della democrazia, anche per i politologi del sud del Mediterraneo riuniti ieri fra i chiostri di Santa Maria in Trastevere per l'incontro su «Religione e democrazia nel mondo arabo e in Europa dopo le Primavere arabe», è di costruire un sistema di governo che sappia salvaguardare i diritti di tutti, minoranze cristiane in primis. La libertà religiosa, infatti, può divenire come la Raod map del nuovo Medio Oriente per costruire i diritti delle comunità. L'appello accorato è di Mohammed Sammak, libanese sunnita. Nessuno, però, si illuda con pericolose scorciatoie. «Siamo ancora in una Primavera, ma per forza molto lunga perché occorre cambiare la nostra mentalità», osserva Abdelfattah Mourou, vice-presidente del movimento Ennahdha e membro dell'Assemblea costituente della Tunisia. È possibile scrivere laicità e libertà religiosa in una Costituzione araba? «È una questione di educazione, bisogna preparare la popolazione a capire il significato, ma nessun principio ce lo vieta», risponde ad Avvenire.

E intanto la nuova Carta del dopo Ben Ali a fatica procede: tra un mese la bozza sarà pronta e dovrà essere approvata all'Assemblea nazionale da una maggioranza qualificata dei due terzi. La democrazia: una garanzia per tutti o solo una "scala" che gli islamisti potrebbero usare per salire al governo? «Servono regole, non è l'arbitrio della maggioranza», osserva Ezzedine Choukri Bischere, politologo del Cairo. Ma la disillusione emerge chiara nella ricostruzione di Ahmed Maher, blogger fondatore del movimento 6 Aprile, tra gli animatori dei moti di piazza Tahrir. Maher l'anno scorso ha abbandonato i lavori della Costituente perchè nessuno teneva conto dei pareri delle minoranze. «Un errore però cercare la soluzione nella violenza». Il vento che soffia da due anni rappresenta, nelle parole del premier uscente Mario Monti, giunto per i saluti finali, un'eredità da non dissipare pure per l'Europa. È stato, inaspettato da tutti, il «cambiamento geopolitico più importante dal 2001», con una genesi decisamente riformista sia dal punto di vista economico che sociale: «L'avvento delle Primavere ha tolto l'egemonia politica al jihad». Un dovere per l'Europa, conclude Monti, accompagnare la brezza di Primavera con il dialogo politico «per uscire dal post 11 settembre».


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