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9 Marzo 2013

Storie di fede Michelangelo Bartolo

Un sogno per l'Africa

Cronache di viaggio di un medico angiologo e del suo ambizioso progetto di combattere l'Aids nel continente

 
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Michelangelo Bartolo, 48 anni, è un medico angiologo, scrittore de La nostra Africa, un racconto in prima persona che ripercorre le tappe compiute per realizzare uno dei più importanti programmi per la prevenzione e il trattamento dell'Aids M Africa. Nel 2001, Michelangelo parte per una missione in Mozambico con la strana consapevolezza di non essere pronto per ciò che avrebbe affrontato e con il dubbio che non fosse quella la strada giusta. Non ci si sente mai veramente pronti per intraprendere nuovi percorsi, ma quando si ha un sogno così grande da realizzare, l'impossibile si trasforma in possibile. Ed è stato così anche per lui, partito con lo scopo di realizzare un programma sanitario chiamato Dream, di cui è uno degli ideatori insieme alla Comunità di Sant'Egidio.

Dream è un acronimo che sta per Drug resource enhancement against Aids and malnutrition ma è anche un sogno che diventa realtà. Il sogno di Michelangelo e quello di migliaia di bambini che grazie a questo progetto hanno un presente, perché nascono sani, nonostante le loro madri siano Hiv positive, e potranno avere un futuro che è anche il futuro di un intero continente. A tu per tu con il continente nero Nel suo libro, Michelangelo racconta un'Africa concreta, povera, diffidente, corrotta, ma anche un'Africa in cui s'impara dal sorriso di un bambino e si apprezza l'utilità delle piccole cose.

Federico, il  protagonista del romanzo, comincia il suo viaggio in Mozambico, passando per la Tanzania, fino ad arrivare in Africania, paese simbolico che ritrae un continente dalle mille contraddizioni. Attraverso l'ironia e la semplicità dell'autore, che è anche il personaggio principale, ci addentriamo in un mondo che ci appare sempre più vicino e riconoscibile. Federico come in un videogame deve superare, e noi con lui, i molti ostacoli che la burocrazia locale e l'arretratezza del luogo frappongono tra lui e la meta finale. Il risultato sorprendente è che riusciamo a immergerci nella storia che leggiamo, riusciamo a percepirne gli odori, a vederne i colori. Possiamo visitare i villaggi e guardare negli occhi Caridade, Lazzaro, Flora, Hidaia e tutti i bambini di cui stiamo conoscendo le vite e con cui stiamo entrando in sintonia. Che non si tratti solo di un romanzo, lo capiamo subito: l'impatto con il continente nero in cui un bianco a bordo di una macchina non passa inosservato, la pioggia che impedisce la discesa dall'aereo, i bambini che giocano nelle pozzanghere come fossero piscine. Tutto è terribilmente reale. 

Seguiamo Federico-Michelangelo mentre varca la soglia dell'appartamento che diventerà la sua casa, osserviamo con lui le tre bacinelle d'acqua riposte sul tavolo, unica possibilità per lavarsi. Assistiamo alla sua meraviglia nel visitare il fatiscente centro nutrizionale dove il bagno è un semplicissimo buco nel terreno. I bambini che non sorridono Ci sono cose che troppo spesso si danno per scontate. Come l'acqua. O come i sorrisi dei bambini che giocano spensierati. Questo diario di viaggio è anche una scoperta di ciò che in Occidente non vediamo più. La descrizione della sala d'attesa dell'ambulatorio di Machava è una di queste. "Una massa indistinta di persone attendeva seduta per terra, i più fortunati occupavano delle stuoie. Decine di bambini, alcuni piccolissimi, minuscoli. Qualcuno si lamentava, aveva la febbre alta, ma per lo più erano fermi, immobili, ci guardavano, ci scrutavano". Prosegue l'autore: "nessuno di loro sorrideva, rideva. [...] Il perché l'ho capito solo dopo qualche giorno: qui nessun adulto si mette a giocare con un bambino, nessuno perde tempo con un piccolo, qui si cresce molto in fretta". E così i bambini non imparano a giocare e divertirsi, non sanno essere bambini. Addirittura, prima dei cinque o sei mesi non hanno neanche un nome poiché la mortalità infantile in alcune zone dell'Africa è superiore al 12 per cento, ovvero ogni mille neonati ne muoiono mediamente 120.

Partorire dei gemelli è considerata una disgrazia perché spesso la madre deve scegliere di nutrire solo il figlio che sta meglio, altrimenti, data la scarsità di latte, potrebbero morire entrambi. È per questo che ai neonati non viene dato un nome, è quasi una forma di scaramanzia quella di aspettare che il bimbo compia almeno quattro mesi per poter essere sicuri che sopravviva. Al centro - si legge nel libro - Michelangelo visitava piccoli che avevano solo un codice identificativo e al posto del nome la sigla 'ND', Non Determinato. In un posto come questo, bisogna ripartire da zero e non dare nulla per scontato. Qui, un ragazzino che sta male, non si lamenta perché è inutile se non c'è nessuno che ti  ascolta e se non sai cosa chiedere. Qui, un guanto monouso  può diventare un palloncino su cui disegnare occhi, naso e bocca  da clown e con cui giocare. Qui, l'idea che l'Aids si curi e i malati accedano alle cure gratuitamente, è stata accolta con diffidenza. In Africa "sembrava vietato parlare di terapia dell'Aids - scrive Michelangelo -, chi era positivo non aveva scampo, la sua vita era segnata". Al massimo, in alcune zone, si tentava una guarigione miracolosa con la 'patata africana'. Per il resto, si pensava e si parlava solo di prevenzione condannando così i 30 milioni di individui già contagiati dal virus.

Quando nel 1996 si scoprì che attraverso un cocktail di farmaci antiretrovirali si poteva trattare l'Aids e renderla malattia cronica ma non letale, era chiaro che la possibilità della cura sarebbe dipesa dalla questione geografica più che dal resto. Da questa convinzione è nato il progetto Dream, dal fatto che la geografia non possa determinare la possibilità o meno di avere accesso alle cure, nonostante si debbano superare per questo impedimenti vari. 

Gli sforzi per realizzare un sogno 

I progetti messi in campo sono realizzati tutti in collaborazione con le autorità sanitarie locali e con personale del luogo. Michelangelo Bartolo racconta molto bene nel suo libro, con un filo di ironia, le difficoltà incontrate con la burocrazia del posto. Sdoganare il container con i medicinali e le attrezzature è descritta come un'impresa complicatissima, a tratti incomprensibile, da cui emerge tutta la corruttela degli uffici pubblici in cui il potere è strettamente legato alla ricchezza. Avviare il rifacimento del centro, ottenere i permessi per l'apertura sono processi lunghissimi e intricati. E tutto ciò cozza con le condizioni in cui vive la popolazione, lontana da qualsiasi standard sanitario. Nonostante le molte complicazioni linguistiche e culturali, le terapie hanno dato i risultati sperati. I pazienti sono aumentati e così i casi particolari in cui si rendeva sempre più necessario un consulto medico specialistico. Da questa esigenza è nata la possibilità di usufruire di mezzi informatici per chiedere questi consulti usando un computer e un collegamento internet. Anche questo progetto si sta diffondendo e sviluppando.

L'idea è quella di strutturare una teleassistenza medica, la telemedicina, "una sorta di radiotaxi della sanità - dice Michelangelo Bartolo che ne è il responsabile- attraverso cui si possano avviare consulti di vario genere, utilizzando un software che invia anche tracciati elettrocardiografici, radiografie e parametri vitali". È sufficiente che l'operatore sanitario africano indirizzi una richiesta a un determinato specialista (cardiologo, infettivologo o altro) e il primo medico "on line" risponderà, dando indicazioni diagnostiche e terapeutiche nei luoghi più sperduti dell'Africa. Un ulteriore legame tra Europa e Africa. "C'è un destino comune che ci lega - sottolinea Michelangelo - perché in questo mondo globali7zato è doveroso globalizzare anche la sanità". È questo il sogno di Dream: 202.600 persone curate, oltre 20mila bambini nati sani da madri sieropositive. Non può esserci un confine che divida, ma solo un legame che si faccia più stretto. "Qualcuno sosteneva che realizzare un laboratorio di Biologia Molecolare a Maputo fosse solo un'utopia - dice Federico alla fine del primo capitolo del libro-. Bene, oggi siamo qui  per dire che questi sogni si sono avverati. La gente che  è qui, testimonia che questa è la via per la resurrezione di tanti e, forse, dell'Africa. Ci accusavano di essere dei sognatori: oggi celebriamo l'avverarsi di un sogno". 

La Comunità di Sant'Egidio 

"Nata a Roma nel 1968, per iniziativa di un giovane allora meno che ventenne, comincia la sua attività riunendo un gruppo di liceali per ascoltare e mettere in pratica il Vangelo. La prima comunità cristiana degli Atti degli Apostoli e Francesco d'Assisi sono stati i principali punti di riferimento. Il piccolo gruppo inizia subito ad andare nella periferia romana, tra le baracche che in quegli anni cingevano Roma e dove vivevano molti poveri, e comincia un doposcuola pomeridiano per i bambini. Da allora la comunità è molto cresciuta, e oggi è diffusa in più di 70 paesi di quattro continenti. Anche il numero dei membri della comunità è in crescita costante. La prima 'opera' della Comunità di Sant'Egidio è i la preghiera. È per questo motivo che, a Roma e in altre parti d'Italia, d'Europa o del mondo, si riuniscono il più frequentemente possibile per pregare assieme. In molte città, ogni sera, c'è una preghiera comunitaria aperta a tutti. La seconda 'opera' è la comunicazione del Vangelo per cui ognuno è invitato a vivere una "fraternità missionaria" in qualche parte del mondo. Terza 'opera' caratteristica di Sant'Egidio, autentico fondamento e impegno quotidiano fin dagli inizi, e il servizio ai più poveri, vissuto nella forma dell'amicizia. 

Il programma Dream 

"Drug resource enhancement against Aids and mainutrition (Dream) è un programma  ad approccio globale per curare l'Aids in Africa, avviato nel febbraio 2002 dalla Comunità di Sant'Egidio. È figlio di un sogno. Da qui il nome. Il sogno di contrastare in modo nuovo e più efficace l'epidemia di Aids nel continente africano. Il sogno di fare uguaglianza tra Nord e Sud del mondo. Dream è - innanzitutto - un atteggiamento differente di fronte all'Africa. È uno sguardo pieno di fiducia e di speranza sul continente. Ha infatti inteso abbinare anche in Africa subsahariana, cosi come avviene in Occidente, prevenzione e terapia farmacologica dell'Aids, nella convinzione che sia necessario curare la vita degli africani oltre che preservarla. Dream è concepito per l'eccellenza delle cure, della diagnostica, dell'informatizzazione e propone anche in Africa gli standard occidentali.

È gratis e l'accessibilità al progetto è irrinunciabile: Dream si adopera non solo per accogliere chi venga a chiedere cure, ma pure per andare a cercare quei pazienti che si rivelino a rischio dispersione. Il programma, oggi, è attivo in Mozambico, Malawi, Tanzania, Kenya, Repubblica di Guinea, Guinea Bissau, Camerun, Congo RDC, Angola e Nigeria. 202.600 le persone curate di cui 35.500 minori di 15 anni; 20.300 i bambini nati sani da madri Hiv positive. Sono 38 i centri Dream nel continente africano e 4.500 i professionisti africani formati.

 

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