L'attentato alla chiesa anglicana di Peshawar in Pakistan, il più grave finora avvenuto ai cristiani con più di settanta morti, è un'ingiustificabile violenza contro un popolo cristiano indifeso che prega la domenica. Chi non lo capisce non sa cosa sia la fede religiosa. Lo rivendicano i talebani che ne promettono altri. È un'ideologia dell'odio che così "purifica" il mondo dagli "infedeli" (chi ha un'altra fede o è occidentale) e che si nutre del sangue delle vittime. A Baghdad, un kamikaze si è fatto esplodere durante un funerale di musulmani sciiti. Nella capitale irakena sono stati colpiti alcuni pellegrini sciiti. Il terrorismo religioso lancia una sfida di terrore e di morte.
Lo abbiamo visto recentemente nell'assalto degli Shaabab somali (affiliati ad Al Qaida) al centro commerciale di Nairobi, che ha fatto tante vittime. Ci troviamo di fronte a un'offensiva di morte in nome di Dio, che vuole ripulire intere regioni dalla presenza di "nemici" immaginari, uccidendo donne e uomini concreti. Di fronte all'escalation di terrore mi tornano alla mente le parole di Osama bin Laden rivolte agli occidentali: «Loro vogliono il dialogo, noi la morte». Che fare? La risposta non può essere più diffidenza nei confronti dei musulmani o delle altre religioni, per poi rintanarci nella paura. Ci vuole qualcosa di più: un impegno delle religioni per dire forte che il nome di Dio non può essere profanato dal terrore. Bisogna riproporre a tutti, con le ragioni della fede, che il nome di Dío è la pace. Così fece Giovanni Paolo II di fronte alla Guerra fredda, quando nel 1986 convocò ad Assisi i leader delle grandi religioni i per pregare per la pace. Di nuovo, dopo i terribili attentati dell'11 settembre 2001, volle ripetere quella preghiera ad Assisi.
Papa Wojtyla considerava lo spirito di Assisi la risposta alla cultura dello scontro e dell'odio, che avrebbe affratellato non solo le religioni, ma anche i popoli. In questa prospettiva sostenne la Comunità di Sant'Egidio, perché quel cammino di Assisi continuasse. E continua. Quest'anno i leader religiosi si ritrovano a Roma dal 29 settembre al 1° ottobre. "Il coraggio della speranza" è il titolo dell'incontro, che raccoglie la sfida della crisi economica, del pessimismo sul futuro, dei conflitti, del terrorismo religioso, della violenza diffusa... Pregando gli uni accanto agli altri e dialogando, i leader religiosi mostrano una forza di pace e non la remissività alla violenza. Tra di loro, il patriarca ortodosso di Siria Giovanni, il cui fratello, il vescovo Paul, è nelle mani dei rapitori con il vescovo siriaco Mar Gregorios e padre Dall'Oglio. Il gran mufti d'Egitto si ritrova a Roma con leader cristiani, ebrei, delle religioni asiatiche e del pensiero laico. Il coraggio della speranza è uscire dal recinto autoreferenziale per predicare con decisione il dialogo, mostrando come l'odio genera solo morte.