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24 Gennaio 2014

I dieci anni che abbatterono l'URSS

 
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La dissoluzione dell'impero sovietico era «prevedibile solo a posteriori»: così sostiene ironicamente Stephen Kotkin, studioso del collasso del blocco dell'Est. A 25 anni dal 1989, la guerra fredda rischia di essere banalizzata quasi sia stata un'innocua rappresentazione e non abbia più volte portato il mondo alle soglie dell'apocalisse. E quasi fosse naturale che la transizione dal comunismo alla democrazia avvenisse pacificamente. Ma chi l'ha vissuta sa che il felice esito del 1989 non era affatto scontato. Perfino Karol Wojtyla, colui che più di ogni altro vedeva i piedi d'argilla del colosso, «non si attendeva che la caduta del comunismo avvenisse tanto presto» (così il cardinal Dziwisz). La transizione dal totalitarismo alla libertà fu in realtà un'avventura tutta vissuta sul filo del rasoio. Ben la si può oggi rileggere in maniera coinvolgente come fa Massimiliano Signifredi, anche grazie a una profonda conoscenza della lingua polacca, nel suo documentatissimo volume.

Assumendo il dato storico che fu la Polonia l'elemento principale di implosione del sistema, Signifredi ripercorre momento per momento il decennio che va dall'elezione del papa slavo al segnale di resa del comunismo con le prime elezioni libere in un Paese dell'Est, quelle del giugno 1989 appunto in Polonia. Volti, carismi, ambizioni dei tanti protagonisti di questa svolta nella storia emergono dalle pagine di Signifredi in luce nuova, illuminati da fonti inedite. A cominciare da Giovanni Paolo II, che coniugava audacia e prudenza, esaltante testimonianza personale e fiducia nel dialogo diplomatico, sì da condurre il gioco ora in attacco ora in difesa, a differenza della dirigenza comunista, pateticamente illusa dal suo stesso potere formale, che doveva correre qua e là a tamponare le falle nel suo schieramento.

Falle spesso causate dalle contraddizioni degli stessi comunisti, ostili alla religione e però, in quanto polacchi, orgogliosi di avere un connazionale papa. Così è lo stesso Gierek a volere nel 1979, contro il parere negativo di Breznev, la prima visita di Giovanni Paolo II in patria, dopo la quale il popolo, galvanizzato, non ha più paura del regime. Decisiva è pure la figura del cardinal Wyszynski, che per avere sofferto sulla propria pelle tutta l'epoca comunista temeva un intervento sovietico. Il primate non amava Solidamosc, considerato elemento di squilibrio, e considerava impossibile mutare la geopolitica di Yalta; però il comunismo si poteva piegare, come dimostrava il caso polacco: nello scontro con Gomulka il vincitore era stato lui, il primate, e ora Gierek gli chiedeva aiuto. Jaruzelski fu l'avversario del rinnovamento e dello stesso Giovanni Paolo II. Figura enigmatica, il generale avrebbe potuto risparmiare alla Polonia lo stato d'assedio data la forte esitazione sovietica ad intervenire (lo rivelano gli archivi del Cremlino), ma da uomo di Stato con senso di responsabilità lo intese come necessario per la stabilità del Paese e, forse, per imitare il modello a lui caro del maresciallo Pilsudski, mix di autoritarismo e patriottismo. 

Molto altro racconta Signifredi nel suo affresco di un'epoca straordinaria: una storia di dieci anni, non lunga, ma che ha fatto compiere alla Polonia e a tutto l'Est europeo un grandissimo salto in avanti. Di questa storia Giovanni Paolo II è stato un grande protagonista. 

Massimiliano Signifredi
Giovanni Paolo II e la fine del comunismo 
Guerh e Associati. Paghe 496. Euro 29,50.


 


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