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14 Giugno 2014

Il Rabbino di Firenze: «Un punto di partenza, ora c'è da camminare»

 
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Joseph Levi, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Firenze ha partecipato all`incontro promosso in Vaticano lo scorso 8 giugno e ci racconta il suo punto di vista sull`evento e sulle prospettive, auspicando un «allargamento della leadership mediorientale» e una grande urgenza su questi temi: «si è alzata una voce di rifiuto della logica della guerra, di superamento delle esigenze nazionali e territoriali a favore di una voce unanime che vuole costruire vita e felicità, che comunica ai politici quello che la gente veramente vuole. Una voce che suona non nel deserto ma nelle nostre città e nei nostri cuori».

Come commenta la cerimonia dell`Invocazione e i tre interventi delle tre religioni?
«I tre interventi sono andati nella direzione di invocazione della pace e questo rappresenta oggi un nuovo punto di partenza. Il Papa ha evocato le difficoltà della pace e del fatto che è più facile distruggere che costruire, ribadendo che le energie che Dio ci dà devono essere usate per cose buone e per la giusta direzione. Peres ha parlato della necessità di costruire la pace anche attraverso il compromesso».

Questa iniziativa ha avuto una grande eco mediatica, lei come l`ha vissuta personalmente?
«Ho reagito con grande entusiasmo all`invito che mi è stato rivolto dalla Rabbanut israeliana (Ufficio dei Rabbini capo di Israele, ndr). Già durante la recente visita a Gerusalemme, Papa Francesco aveva riproposto il contenitore comune della fede Abramitica per le tre grandi religioni monoteiste. Papa Francesco l`ha ripetuto in questo incontro in Vaticano compiendo dunque un altro passo avanti. Non è stata una dichiarazione a voce bassa ma un`invocazione a voce alta e per tutto il mondo. Se posso permettermi di dire una cosa che nella cerimonia mi è piaciuta meno, forse perché estranea al modo ebraico di celebrare e di incontrarsi, è stata la formalità, i toni erano un po` troppo freddi e ufficiali per un momento di incontro. È stata una cerimonia un po` impostata, "abbottonata", mekuftar si direbbe in ebraico. Mi è capitato spesso di partecipare ad incontri per la pace e a riunioni con le altre religioni. Sono spesso tornato da questi incontri, organizzati con grande sapienza dalla Comunità di Sant`Egidio, carico di speranza e di entusiasmo. Chiaramente il livello dell`incontro promosso dal Papa ha coinvolto personalità di primo livello e un po` di rigidità era forse inevitabile».

Lei commentando questa iniziativa ha parlato del Sindaco Giorgio la Pira, ci può spiegare perché?
«Per me è stato molto commovente sentire questa proposta di Papa Francesco perché ho sentito risuonare i temi che proponeva Giorgio La Pira nel 1969. 45 anni fa ero presente quando La Pira riunì ad Hebron esponenti palestinesi e israeliani assieme ai sindaci di Betlemme e Hebron a pregare per la pace sulla tomba di Abramo. Ho vissuto l`incontro come una riproposizione di quel progetto, il rinnovamento di quel contenitore del linguaggio religioso che apre i cuori e avvicina le persone e che può e deve diventare un progetto programmatico che anima la politica e la ispira».

Le tre religioni sembra che abbiano parlato la stessa lingua. E stato davvero così secondo lei e qual è stato il vero valore aggiunto di questo incontro?

«Il fatto che questo incontro ha proposto un esame di coscienza non solo a chi prega ma anche ai leader laici e non religiosi. Abbiamo avuto la possibilità di invocare la pace e nessun leader si è negato. Questo è senz`altro un passo avanti. Questo evento si colloca su una strada nuova, si sono incontrate le coscienze e ritengo ciò molto positivo. Adesso dobbiamo attendere fiduciosi che questo incontro dia i suoi frutti».

In che senso?
«Secondo me sarebbe stato auspicabile fissare già la prossima tappa, se fossi stato Peres o Abbas avrei già invitato il Papa ad un nuovo incontro, magari non in Vaticano, ma a Gerusalemme, a Betlemme a Hebron per dare sostanza e continuità a quanto avviato».

Qualcuno ha criticato il tono ambiguo di alcuni interventi, anche lei condivide questo giudizio?

«Penso che in questa fase bisogna guardare alla sostanza e superare il più possibile le critiche. Anche io ho notato che qualcuno fra i leader era più preoccupato di parlare ai suoi governanti appena insediati piuttosto che rivolgersi agli altri ospiti ma ora però abbiamo un nuovo punto di incontro e dobbiamo camminare esaltando la volontà di pace che vada aldilà della lettera scritta».


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