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12 Ottobre 2014

Storia. Così dopo san Francesco la povertà non fu più un marchio infamante

Un libro di monsignor Vincenzo Paglia sui diseredati dall'Antichità ai nostri giorni. L'incontro col lebbroso chiave di volta per la svolta epocale dovuta al santo di Assisi

 
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«C'è un momento - scrive monsignor Vincenzo Paglia nel suo Storia della povertà (Rizzoli, pagine 626, euro 20,00), testo che riprende e ampia il precedente La storia dei poveri in Occidente - nella storia bimillenaria del cristianesimo in cui la profezia della povertà appare nella sua eccezionale forza di cambiamento. È un momento preciso della storia, il momento di Francesco d'Assisi».
Cosa significò quella "apparizione"? Quali resistenze l'esempio di Francesco contribuì a scardinare? Quale tempo, quale orizzonte, quale intelligenza nuova inaugurò? Come mostra il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, attorno alla povertà si era sedimentato un marchio infamante. Il disprezzo aleggiava sui diseredati e ne accompagnava nel Medioevo la condizione. Chi era ai margini lo era perché "malato", oppure perché segnato dalla colpa.
«La stessa carità e beneficenza - scrive monsignor Paglia - restavano connotate da un senso di  alterigia se non di disprezzo verso i poveri, i quali, da parte loro, dovevano solo rassegnarsi». Francesco spazzò via questa sorta di pellicola nera che avvolgeva i poveri. Con lui la povertà veniva finalmente "riabilitata". Il suo esempio rimane uno «straordinario, e forse insuperato, paradigma della "forma evangelica" della Chiesa». La carità smette di essere la semplice, e in alcuni casi asettica, somministrazione di "opere buone". Diventa invece condivisione, comunione, compassione, amicizia spinta fino alla fraternità.
Come scrive monsignor Paglia, è l'incontro con il lebbroso l'evento chiave che taglia in due l'esistenza di Francesco, che lo apre alla conversione. Francesco non si limita a elemosinare un po' della sua ricchezza. Dinanzi al lebbroso si sente convocato, provocato nel suo intero essere: lo abbraccia, si fa compenetrare dalla sua privazione, si spoglia di tutto, diventa insomma pari a lui.
Quello tra povertà e carità è un prisma che attraversa tutta la storia dell'Occidente. Esse «si sono incrociate, intersecate e alimentate a vicenda». All'interno di questo nesso, un altro passaggio epocale è stato il Concilio Vaticano II. Esso ha contribuito a stabilire «un nuovo rapporto radicato nel Vangelo e segno della verità stessa della missione della Chiesa» tra i cristiani e i poveri.
Un intreccio reso ancora più saldo da papa Francesco, la cui scelta inaugurale del Pontificato - il nome appunto del santo d'Assisi - sta a testimoniare tutta la forza di un imperativo: partire dai poveri che non è una questione ideologica ma è avvicinarsi alla «sostanza» stessa del Vangelo. I poveri - ha detto papa Francesco nella veglia di Pentecoste del 2013 - per i cristiani non sono «una categoria sociologica», ma la «carne di Cristo». Scrive monsignor Paglia: «Non basta più dire che Dio si fa carne per comprendere fino in fondo il mistero. Si deve esplicitare che Dio si fa carne affamata, assetata, malata, carcerata... Dio si è fatto carne scartata. È questa a essere "sacramento" di Cristo».  


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