| 10 Novembre 2014 |
Nisida, la storia |
Se i baby-detenuti cucinano per i senzatetto |
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Tutto è cominciato con un invito. Lo scorso Natale, dieci ragazzi del carcere minorile di Nisida hanno partecipato al pranzo con i senza fissa dimora della Comunità di Sant'Egidio. Alcuni hanno aderito per curiosità, per altri era l'occasione per uscire dall'istituto ed assaporare qualche ora di libertà. Altri ancora non avevano capito neanche bene di cosa si trattasse. Sono ragazzi difficili quelli di Nisida, tanto spesso segnati da un'infanzia vissuta in contesti familiari e abitativi dove la violenza e la camorra sono il pane quotidiano e dove l'appartenenza a un clan o a un quartiere diventa uno stigma indelebile, da cui è difficilissimo sottrarsi. Una generazione indecifrabile e impermeabile di cui fanno parte anche quei giovanissimi che nei giorni scorsi sono stati protagonisti di brutali aggressioni, colpendo le loro vittime con una ferocia inverosimile per essere commessa da un adolescente. L'incontro con la debolezza di chi ha perso la casa e la dignità è stato per alcuni di quei ragazzi la scoperta di una realtà talvolta solo sfiorata.
Una realtà durata il tempo di uno sguardo incrociato casualmente mentre si percorre una strada della città. «È bello fare qualcosa per gli altri» dice Gianni. «Aiutare chi sta in difficoltà ti fa sentire più forte - sostiene Rosario - perché ti fa capire che se dai una mano a qualcuno vuol dire che anche tu ce la puoi fare». Per altri è stata la presa di coscienza che «c'è chi sta peggio di te», e che alla fine i tuoi problemi non sono i più gravi e la tua situazione non è quella più difficile.
Un grande sorriso e una grande tenerezza accompagna i racconti dei ragazzi di Nisida. «Mi hanno chiesto chi fossi, ma io non ho detto che sono carcerato», racconta Ciro. Così come quando un ragazzo ha chiesto a un clochard da dove venisse, si è sentito rispondere «da tutte le parti della città». È la delicatezza di due fragilità che con ironia e simpatia sono incappate in una inattesa conversazione. Tuttavia c'è stato chi invece si è chiuso a riccio, affermando che non lo rifarebbe più, come Salvatore. La sofferenza è come uno scandaglio che penetra in profondità non esplorate, davanti a cui tanto spesso mettiamo una barriera di protezione. Succede soprattutto a chi ha subito un grande dolore e non vuole più vedere qualcun altro patire, come è stato per quel ragazzo davanti alla vista dí tutta quella gente finita a vivere per strada.
Un incontro così straordinario non poteva finire lì. E così l'amicizia dei giovani detenuti di Nisida con i barboni napoletani è continuata in un modo molto concreto e singolare. Da alcuni mesi, infatti ogni venerdì si prepara da mangiare per i senzatetto conosciuti dalla Comunità di Sant'Egidio che gravitano nella zona fiegrea. Guidati dall'esperienza di don Peppino, lo chef dell'istituto, hanno cominciato a sfornare manicaretti prelibati: dai panini con le verdure ai primi piatti, fino ai saltimbocca preparati con il forno che hanno a disposizione. I clochard hanno apprezzato e gradito. E dai 40 pasti iniziali oggi a Nisida se ne preparano oltre 100.
Anche questa iniziativa, una tra le tante e straordinarie portate avanti con generosità e coraggio dal direttore Gianluca Guida, ha destato un grande entusiasmo tra i giovani detenuti che non pensavano che dal carcere potessero aiutare i poveri. «Nella mia vita ho fatto molte cose cattive - afferma Francesco - mentre faccio l'impasto per i panini, qualcosa di buono la faccio».
Questi giovani non sono dei mostri e non nascono con i coltelli in mano. I mostri simboleggiano e rappresentano soltanto la nostra oggettiva incapacità di comprendere.
Fermo restando che c'è bisogno di un maggiore controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine e che vadano assicurati alla giustizia gli autori di gravi reati, emerge una grande solitudine che avvolge questa gioventù disagiata. Chi parla ai giovani oggi? Chi li fa appassionare? Chi li responsabilizza? Chi li strappa da destini già segnati?
I giovani sono il futuro di Napoli. Non possiamo sottovalutare il loro malessere tra impotenza e silenzi, salvo scandalizzarci quando le loro peggiori azioni sono sotto la luce dei riflettori mediatici. Occorre intervenire prima. Prima che varchino quella soglia dolce e amara dell'isola di Nisida.
Antonio Mattone
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