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Novaraoggi

14 Novembre 2014

IL DRAMMA «Voglio imparare a scrivere bene, trovare un buon lavoro e una bella casa»

«Sono stato tre giorni in mezzo al mare»

Osman, 17 anni, è arrivato da Mogadiscio e ci ha messo 5 mesi per arrivare a Novara

 
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NOVARA La storia di Osman, che oggi ha 17 anni, inizia ancor prima di iniziare. A Novara dallo scorso mese di aprile, Osman è uno dei profughi che, l'11 aprile scorso, sono stati soccorsi in mezzo al mare di Sicilia e, in un secondo momento, ha trovato una prima (provvisoria) accoglienza nella palestra del seminario di via Monte San Gabriele.
Il racconto del lungo viaggio fatto per lasciare la Somalia trasmette un senso di sgomento. A partire dalle motivazione che hanno spinto a intraprenderlo. «In Somalia - racconta - ci sono tanti problemi. Il peggiore è la guerra ed è proprio la guerra che non permette di pensare al futuro. Ecco perché, con un mio amico più grande, ho lasciato Mogadiscio. Abbiamo fatto un viaggio lungo più di cinque mesi. Abbiamo attraversato l'Etiopia e il Sudan e siamo arrivati in Libia. Abbiamo dovuto attraversare il deserto con una jeep; le strade sono molto impervie e pericolose e, per dieci giorni, siamo stati nel deserto. Solo noi due. In Libia abbiamo dovuto aspettare quattro mesi prima di partire, a bordo di una nave per l'Italia».
Qui, Osman  si interrompe. Prima di proseguire, fa una piccola pausa perché «parlare di quel viaggio in mare rievoca tutta la paura di un naufragio vissuto». Quando Osman riprende il suo racconto, dà il tempo a ogni singolo momento di quella traversata: «Siamo stati tre giorni su quella barca in mezzo al mare. Poi ci ha soccorso una grande nave militare italiana. Per cercare di attirare l'attenzione, eravamo tutti in piedi, con le braccia in alto a gridare "help me, help me"». Il destino, che ha voluto che Osman impiegasse più di cinque mesi per arrivare a Novara, ha poi voluto che, proprio a Novara, Osman trovasse quel futuro migliore inseguito lasciando la Somalia.
Prima la Caritas e dopo la comunità di Sant'Egidio hanno permesso a Osman di «avere piccole ma buone certezze». Grazie alle lezioni frequentate alla scuola di italiano della comunità di Sant'Egidio, Osman ha imparato l'italiano; «quando sono arrivato in  Italia - racconta - parlavo solo inglese ed era difficile capire e farmi capire». Sette mesi dopo quel terribile naufragio Osman, in un buon italiano, svela i suoi sogni per il futuro: «Ho lasciato la Somalia solo per avere un futuro migliore per me e per la mia famiglia. A Mogadiscio vivono ancora mio papà, mia mamma, le mie due sorelle e mio fratello. Quando avrò il permesso di soggiorno e avrò imparato ancora meglio la lingua italiana, voglio trovare un buon lavoro, una bella casa e voglio far venire tutta la mia famiglia in Italia. Voglio imparare a scrivere bene».
La «passione» per l'Italia si è già intrecciata con la vita somala di Osman: «Mio zio ha lavorato in Somalia con una ditta italiana e a Mogadiscio ho abitato in via Roma». La storia iniziata con enormi difficoltà si conclude con i ringraziamenti che Osman vuole rivolgere a chi lo ha aiutato: «Sono contento della scuola e dei maestri che ho trovato». 
RACCONTO Sabrina Ana Chirobocea: «Il colore della pelle può cambiare ma quello del cuore no»  «Imparare la lingua è il primo passo verso l'integrazione» 
Il racconto di Sabrina Ana Chirobocea inizia con un sorriso perché, spiega, «è così che sono stata accolta dagli insegnanti della comunità nell'ottobre del 2007. Era il sorriso di una donna piccolina - prosegue - con un bel viso luminoso e occhi piccoli che si curvavano e diventavano ancora più piccoli quando sorrideva. Lei sorrideva e noi - insieme a me c'erano una decina di persone - la seguivamo. Il suo nome è Giovanna».
E' con queste parole che Sabrina Ana Chirobocea vuole iniziare a raccontare del suo arrivo in Italia, del suo «aver notato che, nel gruppo di uomini e donne, io ero la più giovane». La premessa volutamente fatta serve alla ragazza per  spiegare come «io abbia capito che, per rimanere in un gruppo, dovevo imparare la lingua. Mi serviva, e anche in fretta, imparare molto bene l'italiano. Volevo parlare come fanno gli italiani, articolando bene le parole e usando gli accenti giusti».
Quando Sabrina Ana Chirobocea, che oggi ha 26 anni, ha lasciato la Romania ed è arrivata a Novara, ha potuto trovare l'appoggio di «una famiglia di romeni amici dei miei genitori». L'incontro con la scuola della comunità di Sant'Egidio è stato quasi immediato e «dopo aver superato l'esame della scuola di italiano, ho svolto diversi lavori e ho seguito corsi di formazione». Dopo la laurea in lingue straniere moderne all'università di Vercelli, Sabrina Ana Chirobocea sta frequentando la magistrale a Milano.
«La mia esperienza - racconta - mi ha insegnato che imparare la lingua di un paese è il primo fondamentale passo verso l'integrazione di un cittadino straniero. Poter comunicare con il prossimo e riuscire a esprimere noi stessi come individui è ciò che ci distingue dagli animali, ciò che ci unisce in piccoli gruppi e grosse comunità». La lingua, in un percorso di integrazione, è essenziale. Rappresenta, quindi, l'elemento chiave durante l'esperienza di qualsiasi straniero. E Sabrina Ana Chirobocea non sa dirsi «se sia stato più importante imparare la lingua oppure imparare a stare  bene vicino al prossimo, che spesso è tanto diverso da noi».
Entrambi gli insegnamenti le sono arrivati dallo stretto legame che ha instaurato all'interno della comunità di Sant'Egidio come vuole evidenziare con queste semplici parole: «Sono riuscita a capire che il colore della pelle può cambiare ma quello del cuore no». Infine, c'è una persona che Sabrina Ana Chirobocea vuole ricordare: «Il maestro Paolo Giacomini resterà sempre nel mio cuore. Ho iniziato l'università dopo la sua morte e tengo la sua foto nell'ultima pagina del mio libretto. Il ricordo dei suoi consigli e i suoi incoraggiamenti mi stanno accompagnando durante il mio percorso di studi. Gli sono molto grata». 
BOUCHRA VIENE DAL MAROCCO  «All'inizio è stato difficile» 
La decisione di lasciare la propria terra di origine per cercare un futuro migliore è la motivazione che spinge molti stranieri. E' stato proprio per questo che Bouchra, nel 2007, ha lasciato il Marocco «con la volontà di trovare per me un futuro diverso, migliore, che mi permettesse di realizzarmi».
Come in ogni storia di immigrazione, anche per Bouchra - che ha già compiuto trent'anni - l'inizio non è stato facile. «Quando sono arrivata in Italia - racconta - ero sola. Perciò il primo problema che ho dovuto affrontare è stato quello di comunicare con gli altri, per capire gli altri e farmi capire dagli altri». L'integrazione, quindi, passa anche attraverso la lingua e, per questo motivo, Bouchra «ho cercato una scuola per imparare la lingua, per potermi integrare».
Quando si lascia il proprio paese di origine per un altro, le nuove esigenze si chiamano lavoro e, come sottolinea Bouchra, «trovare la mia strada». Le difficoltà iniziali, per Bouchra,  sono durate più del periodo di assestamento. «All'inizio - ricorda - ho fatto tanta fatica. Ma, dopo aver passato un periodo difficile della mia vita, ho incontrato i maestri della scuola di italiano:  sono persone speciali. Grazie al loro appoggio morale, al loro sostegno e alla loro amicizia, mi si si sono aperte tutte le porte. Grazie a loro ho trovato me stessa e ho trovato anche un buon lavoro». Anni dopo il suo arrivo in Italia, Bouchra ha sostenuto l'esame dell'università per stranieri di Perugia con degli ottimi risulutati.
IL PRIMO IMPATTO CON MALPENSA  «Nebbia, freddo e non capivo nulla» 
Ibtissam ha 29 anni e ha lasciato il Marocco all'età di 15. Il primo contatto con l'Italia è stato all'aeroporto di Malpensa e questo è il ricordo della ragazza: «Quando sono arrivata all'aeroporto di Malpensa, l'impatto è stato duro: c'era la nebbia, faceva freddo, non capivo una parola. Poi, arrivata a casa, ho trovato una vecchia cascina fredda e malandata».
Poche  ore dopo il suo arrivo, Ibtissam ha iniziato a porsi alcune domande sulle quali, in una storia di immigrazione, è comprensibile fermarsi a riflette. «Ho pensato di tornare indietro afferma - ma poi mi sono detta: "qui devo darmi da fare, incominciare a studiare, imparare la lingua e migliorare la mia vita"». Tra il dire e il fare, Ibtissam ha (fortunatamente) trovato di mezzo la comunità di Sant'Egidio. «Un giorno, per caso, in biblioteca - ricorda - ho sentito della scuola della Comunità e ho cominciato a frequentarla».
Nella scuola italiana della comunità di Sant'Egidio, Ibtissam «ho imparato non solo la grammatica ma anche la grammatica dell'amicizia. L'amicizia dei maestri - prosegue - in particolare di Paolo che per me è stato come un padre, e l'amicizia dei compagni mi hanno fatto capire che, così come io ero stata  aiutata, allo stesso modo potevo aiutare altri e, per questo, ho deciso di mettere le mie energie al servizio degli anziani italiani».
Ibtissam oggi ha un lavoro come modellista e, nonostante la religione musulmana da lei professata, «nessuno mi impedisce di rendere felici gli altri nel giorno del Natale. La diversità di cultura e religione - conclude - non è un ostacolo. Anzi. E' un motivo in più per dare un contributo alla famiglia umana».  

DEEPAK BABU VIENE DALL'INDIA  «Partecipo alle altre iniziative» 
Deepak Babu ha lasciato l'India due anni fa ed è arrivato in Italia per frequentare un corso di dottorato all'università del Piemonte Orientale. L'incontro con la comunità di Sant'Egidio è stato quasi immediato come lui stesso  racconta: «Poco dopo il mio arrivo - dice - ho conosciuto la scuola di italiano della comunità di sant'Egidio. Ho deciso di iscrivermi perché ho capito che la lingua è fondamentale per vivere in una città e integrarmi con la sua comunità». 
Il percorso non è stato facile. «All'inzio - prosegue - non capivo niente e non era facile. Ma, poco alla volta, ho cominciato a usare nelle vita di tutti i giorni le parole che imparavo e potevo comunicare con le persone». L'integrazione per Deepak Babu è presto diventata un percorso in  discesa. «Ora che è cominciato il terzo anno di scuola - racconta - posso dire che continua a essere un'esperienza molto importante per me, un'esperienza che mi ha aiutato molto nel mio lavoro, con i miei colleghi, nelle amicizie con persone di tutte le età». Quanto imparato a scuola ha permesso a Deepak Babu di «trovare un appartamento e parlare con tutti gli uffici amministrativi».
Il giovane ha voluto vivere la  comunità di Sant'Egidio a 360 gradi: «Oltre alla scuola ho partecipato ad altre attività organizzate come cucinare alla mensa, partecipare alle gite, aiutare a preparare il pranzo di Natale». Deepak Babu è riconoscente perché «tutto questo mi ha permesso di conoscere la cultura, le tradizioni italiane e la cucina che apprezzo molto». 


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