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Il Corriere del Mezzogiorno

16 Novembre 2014

IL TEMPO E LE IDEE

UNA SCUOLA CHE TRASFORMA L'IMMIGRATO IN INTEGRATO

 
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I fatti di Tor Sapienza a Roma sono una brutta pagina della nostra vita pubblica. Brutta per gli immigrati dello stabile contestato che si sono visti soggetti a una sorta di assedio; brutta per noi italiani che ci siamo visti sbattere in faccia, così, uno dei problemi più preoccupanti della nostra convivenza civile.
Razzismo? A stare alle cronache, non pare. Sembra, piuttosto, che ne emergano con traumatica evidenza due questioni: quella delle forme che assume la presenza degli immigrati nel nostro paese, e quella degli atteggiamenti della popolazione fra la quale gli immigrati si inseriscono. (......)
Si tratta di questioni che non si possono neppure affrontare, se si cerca chi ha torto e chi ha ragione. Quel che occorre è cercare un modo, una via, che metta sul giusto binario, per tutti, un processo inarrestabile (che si prolungherà non si sa se ancora per breve o se per lungo tempo); una via che porti a trasformare, quanto prima e nei modi migliori, l'immigrato in un integrato, lo straniero in cittadino, il diverso in un consimile.
Da sempre (possiamo dire) il lavoro e la scuola sono stati individuati come gli strumenti e i percorsi principali, da preferire a qualsiasi altro da un punto di vista sia morale che pratico, nonché per le prevedibili probabilità di successo. Per il lavoro il sentiero è particolarmente arduo. (.......) Per la scuola è diverso. Non è un caso che il governo abbia parlato di una legge che dia la cittadinanza a chi frequenti almeno un ciclo scolastico: provvedimento ben più consono e congruo al problema del difficile ricorso al «ius solii» o ad altro di analogo.
Per la scuola non è, però, solo il governo a poter operare. Sono anche le Regioni e le amministrazioni locali. È, ancora di più, la spontanea iniziativa della società.
A Napoli, ad esempio, è in corso già da trent'anni (per l'anniversario vi sarà una manifestazione il 23 novembre) una Scuola di lingua e cultura italiana per gli immigrati, promossa e curata dalla Comunità napoletana di Sant'Egidio sulle orme dell'iniziativa nata qualche anno prima a Roma per l'insegnamento delle lingue dei paesi di accoglienza, considerate giustamente il primo veicolo di qualsiasi comunicazione e condivisione sociale.
È notevole che all'inizio la frequenza a questa scuola era soprattutto maschile e africana, mentre è diventata poi soprattutto femminile (71%: e quanto è significativo questo dato!) ed europea e asiatica. Al termine si ottiene, secondo una convenzione con l'Università per stranieri di Perugia, una certificazione di conoscenza della lingua italiana, che è un valido strumento ai fini del lavoro e di altri momenti della vita civile.
Napoli non è stata la sola a muoversi nella scia dell'iniziativa romana. Scuole di lingua italiana per immigrati sono un'esperienza di inserimento oggi diffusa in molte città (Genova, Novara, Milano, Torino, Firenze, Trieste, Livorno, Pisa, Padova), e anche, per le rispettive lingue, fuori d'Italia (Belgio, Germania Spagna). Per il resto del Mezzogiorno non so se vi sia molto di notevole in questo campo. Eppure, è proprio nel Mezzogiorno (afflitto da tanti fenomeni di asocialità o di illegalità sociale) che questa linea di azione intelligente e accomunante risponde alle necessità di coesione del territorio e della gente. E, se anche enti territoriali e altre realtà sociali si muoveranno nello stesso senso, non se ne potranno non vedere, e anche in un breve lasso di tempo, i frutti che tutti si augurano (o dovrebbero augurarsi).


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