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3 Febbraio 2015

Lacrime di forza

Le donne dinnanzi alla povertà

Il fatto che il volto della povertà si femminilizzi nel mondo non è dovuto solo alla crisi economicama anche alla crisi della famiglia

 
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«Ci saranno sempre dei poveri in mezzo a voi» diceva Gesù, certo non perché ci rassegnassimo alla loro sorte, ma piuttosto per avvertirci che, in qualsiasi luogo del mondo e in qualsiasi periodo della storia umana, ci saranno sempre persone più deboli, vulnerabili e bisognose che inviteranno a vivere l'amore preferenziale per i poveri. Nessuno stato sociale, neanche quello più avanzato, può fare a meno dell'interdipendenza e della solidarietà tra gli uomini. Il fatto che il volto della povertà si femmínilizzí ín molte città del mondo non è dovuto solo alla crisi economica, ma anche alla crisi della famiglia: quante donne si vedono obbligate a portare da sole il peso dell'educazione dei figli?
L'individualismo della nostra società fa aumentare il numero dei poveri. L'invecchiamento - fenomeno tipico del ventunesimo secolo su scala mondiale, fenomeno in gran parte femminile - che in una visione biblica della vita dovrebbe essere concepito come una grazia e un dono dí Dio, è spesso percepito come un problema, che pesa sui bilanci dove si dovrebbe risparmiare. Non più produttivi, gli anziani vengono facilmente cacciati dalle famiglie, dai quartieri, dalle reti umane, per essere condannati a una vita anonima in un istituto, come se la vecchiaia fosse una malattia. Quanti anziani soli ci sono dietro i muri delle case dí riposo in Occidente? La solitudine e la disperazione dí molte persone anziane diventano una nuova forma di povertà nella nostra società materialista.
Allo stesso tempo questa povertà rivela il deficit di cultura di vicinanza e di spiritualità nelle mentalità. La secolarizzazione dei cuori non ha alienato i nostri contemporanei solo da Dio, ma anche dalle loro famiglie e dai concittadini più deboli: non s'impara a vivere con loro, se ne ha paura, si cerca dí evitarli. Infine si ha paura della propria debolezza e si diviene sprovvisti e indeboliti nell'ambito umano.
Non è dovuto al caso che nel Vangelo le persone che accettano per prime il cammino della debolezza sono delle donne. Vedendo la sofferenza di Gesù, capiscono dí non avere alcuna capacità di decisione, ma sono lì, e vegliano ai piedi della croce. Quale potere rappresentano agli occhi della società? Le donne hanno un carisma particolare per quel che riguarda l'accettazione della propria debolezza e della propria fragilità. Là dove nel Vangelo, per la prima volta, nasce una comunità attorno a Gesù, là cí sono le donne: sono ai piedi della croce. Mentre tutti i discepoli sono fuggiti, loro trovano il coraggio dí restare accanto a Gesù: «C'erano anche alcune donne, che stavano a osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di loses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (Marco, 15, 40-42).
Ai piedi della croce nasce una famiglia nuova, che possiamo considerare come la prima comunità cristiana. Là dove non si evita la sofferenza, là dove si accetta con fiducia la propria debolezza, là dove la fragilità e l'impotenza si tramutano in preghiere al Signore, là nascono energie insospettate.
ll grande filosofo e teologo ortodosso russo Evdokimov nel suo libro "La donna e la salvezza del mondo" dice: «Più interiorizzata, più legata alle radici, la donna si sente subito a proprio agio nei limiti del suo essere e si sforza di utilizzare i propri doni per creare una sinfonia chiara e limpida della sua persona. Riempie il mondo della sua presenza dal di dentro. (...) L'uomo travalica íl suo essere, con il suo carisma di espansione. Aspira a raggiungere il massimo della sua potenza della quale riempie il mondo (...). L'istinto maschile di distruzione "padre della guerra" può essere "accordato" dal femminile e sublimato ín istinto di vita, di costruzione della cultura e del culto. (...) L'uomo di oggi disumanizza il mondo in tutte le forme di oggettivazione; ebbene, per l'istinto materno, qualsiasi oggettivazione è organicamente impossibile. (...) La donna umanizza e personalizza il mondo (...). Difende sempre il primato dell'essere sulla teoria».
Il ricco deve imparare nuovamente a vivere con la propria debolezza, che esiste malgrado tutto ciò che fa per nasconderla. L'incontro con una persona anziana o malata ci aiuta ad accettare la nostra debolezza. Queste realtà ci costringono a interrogarci su ciò che siamo, su ciò che speriamo, su dove cerchiamo e troviamo la nostra gioia. L'incontro con il povero è un mistero che ci apre a Dio.
«La guerra è la madre di ogni povertà» dice Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio. La pace, questo bene prezioso dell'umanità, è minacciata da ogni lato, una parte importante del mondo è oggi in fiamme. Quanti cuori sono abitati da un capitale di odio e di vendetta che attende dí poter esplodere, seminando così morte e distruzione? Oggi vediamo il deficit di un mondo che non ha investito molto sul vivere insieme e che si è abituato alla malattia della violenza e della guerra. I cristiani, che pur hanno ricevuto da Gesù la missione di essere artefici di pace, si sentono spesso condannati a essere spettatori di un mondo ingiusto e ingovernabile, e alla fine si rassegnano al pessimismo.
Barbara Ehrenreich nel suo libro "Riti di sangue. All'origine della passione della guerra", precisa che la guerra è una delle attività più apertamente sessiste dell'umanità, a causa dello stretto vincolo esistente tra guerra e virilità. Le donne, le madri, le spose, le figlie vedono il dolore della guerra: la perdita delle persone care, le distruzioni. Le donne piangono durante la guerra; piangono perfino per quelli che non sono i loro figli; anche la Chiesa piange durante le guerre. Nei tempi difficili di guerra, la Chiesa mostra, per antonomasia, la sua maternità, il suo lato materno, mentre gli uomini si uccidono a vicenda. Durante la guerra, la Chiesa mostra il suo profilo dí madre. Ama la pace perché è madre. Maria è la figura materna che piange durante la guerra. Maria piange durante  la guerra e risplende ín tempi di pace. E' felice alla nascita del Salvatore e piange ai piedi della croce. Le lacrime esprimono la sua disperazione, ma allo stesso tempo la forza di questa donna fragile, che è la madre di Dio. Le sue lacrime mostrano che l'umanità non accetta la guerra. Maria è venerata come la Regina della pace che rappresenta la speranza del nostro mondo.
Le lacrime, le grida di disperazione diventano richiesta e preghiera. I singhiozzi sono una supplica dí fronte alla quale Dio non resta sordo. Nella preghiera affidiamo la nostra fragilità a Dio che ci rende forti nella fede e nell'amore al servizio degli altri. La preghiera è l'arma dei deboli e dei poveri. Ci troviamo qui di fronte a un grande paradosso della vita cristiana: la forza dei deboli e la debolezza dei forti. Come dice san Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Corinzi, 12, 10).
Essere presenti tra quanti soffrono è preghiera, è ascolto. Come dice Gesù, è Maria che si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta: la presenza accanto a Gesù, l'ascolto della sua parola (cfr. Luca, 10, 38-42). Il nostro mondo, che è malato di violenza, dí guerra e di solitudine, ha sete dí amore, di conforto, di pace, ha bisogno di donne forti, di donne di fede. Evdokimov scrive: «La donna salverà il mondo solo se proverà un tremito dinanzi al mistero delle vergini sagge della parabola evangelica, se, gratia plena, diventerà realmente, sull'esempio della Vergine, la porta del Regno».
Le vergini sagge hanno trovato la forza dí mantenere le loro lampade accese: avevano come provvista una grande fiducia nel Signore ed erano andate ad attingere alla fonte della speranza. Queste donne mostrano il cammino, testimoniano che il Dio della tenerezza non ha abbandonato il mondo. Le donne presso il sepolcro diventano le prime testimoni di Gesù risorto, le prime testimoni della Buona Novella. Quelle donne che sono restate ai piedi del sofferente, che hanno vegliato restando presenti, che non hanno eluso la debolezza, sono forti. Vedono un cammino di speranza e di resurrezione e lo comunicano agli altri. Alla scuola della sofferenza s'impara a non aver più paura delle lacrime e delle suppliche e ci si ritrova confortati dallo scorgere il cammino della resurrezione, della speranza e della pace. 

* Hilde Kieboom è nata il 7 maggio 1965 a Wilrijk (Anversa). Ha studiato greco e latino, poi lingua e letteratura germanica all'università di Anversa e teologia nel Centro Teologico e Pastorale di Anversa e all'università cattolica di Lovanío. E sposata e ha due figli. Nel 1985 ha fondato nella sua città la comunità di Sant'Egidio, che aveva conosciuto dieci anni prima a Roma. Il 21 luglio 2003 re Alberto II le ha attribuito il titolo di baronessa per il suo impegno e due anni dopo l'università dí Utrecht le ha conferito un dottorato honoris causa, per il modo in cui ha messo in pratica la diaconia e la spiritualità nella società moderna. Nel 2007 ha ricevuto dal patriarcato della Chiesa russa ortodossa l'onorificenza dell'ordine di Santa Olga per i suoi meriti nella Chiesa e nella società. Nel 2014 è diventata vice-presidente della comunità di Sant'Egidio.


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