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il Cittadino

26 Febbraio 2015

S. Messa a suffragio dei clochard scomparsi in strada

S. Egidio per i senza dimora

 
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Fuori dalla basilica dell'Annunziata c'è anche Mohamed che viene dal Marocco e non parla bene l'italiano. È musulmano, ma in chiesa vuole entrare, perché «Dio - non pronuncia la parola, ma si fa capire, indicando il cielo - è buono con tutti».
Domenica scorsa, la liturgia eucaristica in ricordo delle persone morte in questi anni a causa della durezza della vita per strada ha raccolto decine di senza dimora: italiani, immigrati, giovani, anziani, donne. Con loro i volontari della Comunità di Sant'Egidio - che da anni organizza questa cerimonia - e delle associazioni e parrocchie che sostengono i clochard genovesi.
La messa è stata celebrata da don Jorge Lopez di Sant'Egidio, dal direttore dell'Ufficio diocesano Migrantes padre Giacomo Martino, dallo storico amico dei barboni, don Antonio Lovato, da padre Paolo Dirai, superiore dei somaschi della Casa della Maddalena e da don Maurizio Benzi, di Masone. Dopo la preghiera dei fedeli, la lettura continua di 165 nomi: sono i senza dimora morti negli ultimi anni a Genova.
A causa del freddo, della malattia, della violenza, di un fuoco acceso per mitigare i rigori dell'inverno e trasformatosi in una trappola micidiale. Il primo nome è quello di Pietro Magliocco, una delle prime persone conosciute da Sant'Egidio durante il servizio serale a chi vive per strada. Pietro dormiva nella stazione di Sampierdarena: da vari giorni malato di polmonite, moriva la notte stessa del suo ricovero in ospedale. Era l'11 febbraio 1993. Aveva 57 anni.
«Sono passati più di vent'anni - ricorda Paola Bergamini, che con la Comunità genovese da anni si occupa del sostegno ai senza dimora e che, con grande finezza umana, li chiama "i miei amici" - e abbiamo visto tanto dolore per strada. Eppure questo ricordo è una consolazione per tutti, soprattutto per chi resta, perché sente di non essere solo e che ci sarà qualcuno che ricorderà anche lui. Non è solo un momento celebrativo, ma un evento pubblico per parlare ad una città in cui la vita dei poveri è spesso molto dura.
Ripetere i loro nomi, raccontare le loro storie è un modo per strapparli dall'invisibilità e metterli per una volta al centro, restituendo loro la dignità di persone e, appunto, di amici». Il momento della memoria dei nomi è molto toccante: tanti, nella chiesa, si mettono in fila, alzandosi nel momento in cui viene ricordato il proprio amico più caro.
Qualche turista che si affaccia all'ingresso di questa splendida basilica barocca rimane a bocca aperta per la presenza di tanti poveri: non fuori, a chiedere una moneta, ma dentro, a pregare e piangere. «Oggi dice serio un volontario - la chiesa è una casa per tutti, anche, forse soprattutto, per chi una casa non ce l'ha». I clochard sono vestiti con grande dignità, posano i sacchetti con le loro cose sul fondo della basilica, pregano e si commuovono mentre si mettono in fila.
Poi ciascuno si avvicina all'altare e accende una candela ponendola in un grande braciere, sotto la splendida icona con il Volto Santo di Gesù. Si ricorda Babu, morto sotto il Carlo Felice nel dicembre 2008, ma anche la piccola Marina, neonata uccisa dal freddo nel 1997, sul greto del Bisagno, dove viveva e il giovane Brusii - 14 anni - che ha preso fuoco con la roulotte della sua famiglia nel 2002.
A Genova, a fronte di qualche centinaio di senza dimora ospitati da strutture pubbliche o private, molte decine di persone stanno trascorrendo l'inverno all'aperto, in ricoveri di fortuna. A questi bisogna aggiungere anche decine di rom romeni, tra cui anche alcuni anziani che scelgono di vivere in baracche per poter inviare tutti i soldi raccolti mendicando ai figli e nipoti rimasti in patria: a Genova quello della casa è un problema serio e a margine della messa l'assessore comunale alle Politiche sociali Emanuela Fracassi - presente con discrezione alla celebrazione - viene incalzata dalle domande dei giornalisti.
Don Jorge Lopez, sacerdote salvadoregno della Comunità di Sant'Egidio, ricorda nella sua predica la durezza della vita: «Dio - ricorda - non dimentica il nome di chi è povero ed esposto al pericolo: anzi, mette il nome dei poveri sulle nostre labbra».


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