| 17 Aprile 2015 |
«La violenza non è nella teologia» |
Il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, a Pisa per un incontro del servizio diocesano «Cultura & università» ha parlato del rapporto tra religioni, guerra e pace |
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Relatore, il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio e docente di storia contemporanea all'Università degli studi Roma Tre.
«Tutte le religioni sono state violente, perché l`uomo è tentato dalla violenza - ha esordito Riccardi. Dobbiamo evitare però l'abbaglio di credere che la violenza sia nella teologia. Per capire la violenza - ha aggiunto - è necessario tornare a confrontarci con la storia».
Il professor Riccardi ha ricordato gli sconvolgimenti politici in atto nella riva sud del Mediterraneo. Uno scenario fatto di tensioni e conflitti armati, seguito alle cosiddette «primavere arabe», la grande ondata di proteste e disordini che ha infiammato gran parte del mondo arabo tra la fine del 2010 e il 2011.
«In molti pensavano che quei movimenti di protesta segnassero l'"ora della democrazia" per il mondo arabo - ha spiegato il fondatore della Comunità di Sant'Egidio - una sorta di "nuovo `89" capace di far crollare l'autoritarismo arabo in favore della democrazia. Ma così non è stato».
Cosa ha causato questo «ritardo democratico»? L'Islam? E la democrazia è compatibile con l'Islam?
«Non è solo la religione musulmana a definire la storia dei paesi arabi del Mediterraneo - ha affermato lo stesso Riccardi. L'Islam ha plasmato in profondità le società arabe ma l'Islam non rappresenta solo una "dottrina", è storia, tradizioni, culture ed economie diverse. Ridurre tutto alla religione è una semplificazione che non aiuta a capire».
Le diverse evoluzione delle «primavere» confermano in qualche modo le profonde differenze esistenti all'interno del mondo arabo. Se in Tunisia la democrazia si sta lentamente radicando, grazie al «carattere euro-arabo» del paese ma anche al diverso approccio della locale Fratellanza musulmana rispetto a quella egiziana, tutti sappiamo come stanno andando le cose in Libia e in Siria, dove la guerra civile e l'estremismo di gruppi radicali come l'Isis stanno trascinando la popolazione in un vero e proprio incubo senza fine. Conflitti nei quali le vittime di musulmani sono, in larga parte, altri musulmani. Conflitti, però, che in modo diretto (terrorismo) e indiretto (flussi di rifugiati e migranti) ci coinvolgono come italiani ed europei. In che modo possiamo affrontare le sfide provenienti da un mondo geograficamente tanto vicino a noi quanto distante per cultura e tradizioni?
«È necessario ridare centralità alla questione mediterranea - ha detto il professor Riccardi. Sfide quali il terrorismo e l'immigrazione mettono in luce la fragilità dell'Europa. Riguardo al primo, il vero problema, più che l'Islam, sono le periferie delle nostre città abbandonate a loro stesse, dove l'Islam radicale sfrutta lo spaesamento delle nostre società. Ma non basta accogliere gli immigrati. Non si vive nel mondo della globalizzazione senza radici e non è possibile dialogare senza avere un'identità. Per questo è necessaria una ricostruzione culturale, religiosa e umana delle nostre società».
Il convegno si è concluso con l'intervento dell'arcivescovo Giovanni Paolo Benotto: «Le sfide che oggi ci troviamo a dover affrontare, su temi come l'integrazione da offrire agli immigrati, sono enormi. Viviamo una realtà culturale nella quale non c'è più spazio per l'approssimazione e la superficialità. È necessario dunque approfondire la preparazione, rifiutando l'attuale tendenza verso il "minimo". Preghiamo Dio misericordioso e compassionevole, Padre di tutti, affinché illumini coloro che credono, rendendoli disponibili, anche in realtà complesse, a camminare insieme».
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