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24 Aprile 2015

Colloquio con Andrea Riccardi

Ma l'Europa deve accogliere i rifugiati

 
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«Non è il tempo di terribili semplificazioni. Il Mediterraneo è complessità. Quanto è awenuto nel canale di Sicilia e a Rodi è un'assoluta emergenza umanitaria. Come quella, a suo tempo, dei boat people nel sud est asiatico. E ci sono i Khmer islamici, non in Cambogia ma alle nostre porte. La Libia è casa nostra».
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, ministro dell'integrazione e della cooperazione nel governo Monti, è soprattutto uno storico che conosce molto bene quanto si muove tra le due sponde del Mediterraneo. Il suo ultimo libro, "La strage dei cristiani" (Laterza), racconta la prima pulizia etnica del Novecento, quella dei turchi contro gli armeni nel 1915.
«All'epoca i nazionalismi si nutrirono del fanatismo religioso. Oggi, invece, c'è un`interpretazione totalitaria della religione islamica che vuole eliminare tutti gli altri».
Nel libro lei descrive la deportazione degli armeni dall'Anatolia e la frase agghiacciante nel rapporto finale: «Non rimane alcun trasferimento armeno da eseguire...». Gli esodi sono strumento di pulizia etnica.
«Il secolo che si apre con la carovana degli armeni proseguirà con i treni verso Auschwitz. C'era l'idea che si potesse modellare una società senza la presenza dell'altro. Ma in chi parte c'è anche il sentimento di migliorare la propria vita. Il viaggio è per chi parte il sol dell'avvenire, l'attesa di un miracolo, la follia della speranza. E quando sei nel viaggio è difficile uscirne».
Si possono fermare i migranti con un blocco navale?
«Non capisco cosa sia. Non possiamo progettare blocchi e muri, vanno fermati i trafficanti di uomini. Dobbiamo cominciare a capire che c'è un'invasione, uso volutamente questo termine in modo provocatorio. Finirà nel lungo periodo, ma nell'immediato futuro non si fermerà. La prima vera misura da attuare dovrebbe essere la creazione di una quota di rifugiati per ciascun Paese, riconosciuti nei loro diritti, che possano lasciare la loro terra in condizioni di sicurezza, senza essere costretti a rischiare la vita e ad affidarsi a bande di criminali».
Già nei 1915 si parlava di sgozzamenti, traffici di bambini e donne: è questo il volto eterno dell'Islam cui dichiarare guerra?
«Dobbiamo liberarci da questa visione ideologica. Nella realtà l'Islam è molto frammentato al suo interno, sciiti contro sunniti, sunniti contro sunniti.
È lo Stato Islamico (Daesh) che vuole fare pulizia di tutti gli altri. È una reazione alla globalizzazione».
Prima del naufragio c'è stata su un barcone la strage dei cristiani gettati in mare dai musulmani. È in corso una nuova strage dei cristiani, come ha denunciato il papa?
«Uccidere un cristiano è un'azione criminale contro una vita umana e fa notizia. Sono cristiani poveri, i copti, gli etiopi, non certo l'espressione di un Occidente potente. Sotto le dittature dei regimi islamici laici i cristiani erano il segno del pluralismo, oggi è saltato tutto. In Siria, in Libia, nel Libano che oggi c'è e chissà se terrà. È una sfida alla civiltà della convivenza. La nostra».
Come sl reagisce alla sfida?
«Primo: va riconosciuto che la strage dei cristiani c'è. Dirlo non significa cedere al confessionalismo ma fare un'analisi giusta della realtà e mettere in campo tutti gli strumenti di soccorso che abbiamo, per esempio i corridoi umanitari nelle zone di crisi. Questi cristiani pagano per noi, a lungo la protezione dei cristiani d'Oriente è stata usata per mascherare la difesa degli interessi occidentali».
Bisogna preparare l'intervento militare, condannato da papa Wojtyla quando partì la guerra in Iraq?
«È obiettivo del Daesh trasformare lo scontro in una guerra di religione. Sarebbe un grave errore cadere nella trappola. Dobbiamo colpire la rete degli scafisti, far lavorare l'intelligence. E poi lavorare su un periodo più lungo per la riconciliazione in Siria, c'è il rischio che crolli il Libano, dove i rifugiati sono un milione e mezzo, quasi un terzo della popolazione. In Libia la soluzione va cercata a Tripoli, non a Tobruk. Infine c'è l'Africa da cui arrivano i rifugiati: il Niger, l'Eritrea che visitai da ministro, primo italiano a farlo dopo molti anni. Un mondo globale richiede politiche larghe».
L'Europa ha una politica larga?
«Ho di recente parlato con Angela Merkel, mi pare che sia la più preoccupata di una visione ristretta della politica europea. C'è il rischio di un'Europa senza cultura, senza il senso dei suoi confini, senza identità. Bisogna ripeterlo con forza, senza essere lamentosi. Se l'Europa non ci crede, se è insensibile, la questione va portata di fronte alle Nazioni Unite».
È questo il compito del governo italiano?
«L'Italia ha fatto una scelta importante con Mare Nostrum, un'operazione importante, non un'autostrada per i trafficanti come si disse: il numero delle vittime era sceso. L'Italia deve proporsi di diventare capofila di una grande operazione diplomatica e culturale in Europa. L'idea mediterranea è stata in passato una grande intuizione europea, ad esempio della Francia nell'area delle ex colonie nel Nord Africa. Ora va ripresa, contro un'interpretazione restrittiva dell`Europa. E senza mai smettere di essere umani... 


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