La tragedia del naufragio nel canale di Sicilia e quella avvenuta poco dopo nelle acque di Rodi sono uno schiaffo alla nostra indifferenza. «Chi ha detto che l'inferno è di fuoco?», ha scritto il poeta Mimmo Sammartino raccontando il naufragio avvenuto la notte del 25 dicembre 1996 a largo di Capo Passero, in Sicilia.
Un inferno liquido che ha avvolto la vita di oltre 24mila migranti, tanti si stima siano annegati nel Mediterraneo fino ad oggi. Uomini, donne, bambini, in fuga dalla guerra, dalla povertà, dalla mancanza di futuro.
Le onde hanno inghiottito le loro speranze e gli anni che avrebbero potuto vivere. Un grande furto. Ne sono responsabili i trafficanti che si sono arricchiti organizzando traffici lucrosi.
Ne è responsabile l'Europa, così ripiegata su di sé da non porsi per lungo tempo il problema, lasciando sola l'Italia nella gestione dell'emergenza.
Ma in fondo ne siamo responsabili tutti, quando stabiliamo una distanza di destino tra noi e chi scappa su quelle barche, che diventa abisso che separa anche nel presente: pensiamo alle reazioni verso chi riesce ad arrivare qui e vive nelle nostre città.
Quale futuro? Se ne è discusso in una recente conferenza promossa dalla Comunità di Sant'Egidio a Padova dal titolo «Immigrazione e futuro».
Anzitutto per comprendere il presente sarebbe utile non dimenticare il passato.
Gian Antonio Stella ha letto le parole di alcune madri che nel secolo scorso, partendo dalle nostre terre, vedevano morire i figli, durante i viaggi della speranza dell'epoca.
Le lacrime di queste madri attraversano la storia e si confondono con quelle delle donne che abbiamo visto piangere i loro cari, morti in questi ultimi naufragi. Per comprendere il presente poi bisogna conoscerlo davvero.
Il prefetto Mario Morcone, responsabile immigrazione per il Ministero dell'Interno, ha quantificato in 80 mila i richiedenti asilo in questo momento in Italia. Il Veneto ne accoglie il 4%.
Occorre un sussulto di coscienza. Occorre anche l'incontro per sciogliere tanti pregiudizi. Quello con i profughi arrivati nella nostra città è l'incontro con storie terribili.
L'attraversamento del Mediterraneo è solo l'ultimo tratto di viaggi che poco conosciamo in tutto il loro pauroso percorso.
Viaggi in uscita da pezzi di mondo (sempre più alle porte) che abbiamo abbandonato al loro destino, pensiamo alla Libia o alla Siria.
Occorre contrastare i trafficanti di vite umane. Occorre che l'Europa giochi un ruolo politico di mediazione nelle crisi.
Occorre che l'Europa non abbandoni l'Africa, resa da guerre e povertà un luogo quasi obbligato di fuga per tanti. Ma occorrono anche proposte rispetto all'emergenza. La Comunità di Sant'Egidio ne ha avanzata una.
Quella di creare corridoi, facenti capo a «postazioni umanitarie», iniziando da Marocco e Libano, a cui si possano rivolgere i richiedenti asilo per ottenere un visto che consenta loro di affrontare in sicurezza il viaggio verso la salvezza. Tale ipotesi, prevista a livello europeo, riconosce una forma di «protezione sussidiaria e temporanea» per chi fugge da guerre o da calamità naturali. Una proposta piccola, audace, che potrebbe dare però grandi risultati.
Monica Mazzucato
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