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2 Settembre 2015

Non ci sarà un'altra Arca di Noè

 
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Le immagini del camion abbandonato in autostrada in Austria con 70 cadaveri, tra cui 4 bambini e 8 donne, sono le immagini di un crimine. Quello compiuto da chi quel camion lo guidava, ma anche quello che silenziosamente vede complice un'Europa che fatica a reagire di fronte al dramma epocale che questi viaggi della disperazione rappresentano.
È un dramma che si svolge via terra, lungo la "rotta dei Balcani", così come via mare, lungo quella che è diventata una delle frontiere più pericolose al mondo da attraversare, il Mediterraneo. Dal naufragio del 18 aprile, in cui si stima siano morte 800 persone, si sono susseguite centinaia di morti, per annegamento, soffocamento nelle stive, per le conseguenze delle torture subite prima della partenza e durante i viaggi.
Quanto dolore! Nel 2011 Magris denunciò il rischio dell'assuefazione di fronte al susseguirsi delle tragedie. Questo rischio è oggi amplificato, ma anche superato dall'opposizione all'accoglienza, anche quando questa sia semplicemente intesa come applicazione di quanto prevedono i trattati internazionali. Ad abbassare la soglia della nostra indifferenza contribuisce l'anonimato delle vittime, ignote. Forse questo rende queste morti meno reali, incapaci di suscitare un sussulto di umanità che sia bussola per decisioni lungimiranti? Di una cosa siamo certi: non saranno i muri a fermare l'odore di morte che sta diffondendosi nel nostro continente. Allora quali soluzioni?
Primo. C'è un livello di risposta personale. Lo dimostrano i tanti italiani che sono solidali con i profughi. Non è solo un sentire cattolico. È un movimento di coscienze più largo. La predicazione della paura fa più rumore, ma c'è anche il messaggio forte di papa Francesco che parla a tutti. Secondo. L'emergenza non è in Italia, ma in Siria e in Libia. Due pezzi di mondo alle nostre porte, rispetto ai quali l'Europa e i singoli Stati membri hanno precise responsabilità. Se le guerre lì continueranno, come sembra in assenza di iniziative di pace, continueranno i flussi di persone che scappano. Allora bisogna pensare a strutturare dei percorsi che sottraggano quanti fuggono ai trafficanti e ai pericoli dei viaggi sui quali questi ultimi lucrano.
I canali umanitari, proposti dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla Chiesa valdese, basati su postazioni in Marocco e Libano, dove possano essere raccolte le domande di visti umanitari, eviterebbero molte morti. Terzo. Va affrontato il tema dell'integrazione rispetto a una prospettiva di lungo periodo. Il dibattito sull'immigrazione è distorto da una visione della società intesa come sommatoria di tante individualità, ma in cui non c'è spazio per i legami e per una civiltà del convivere. Non si tratta di buonismo, ma di realismo. Il nostro destino è interconnesso a quello di altri popoli. David MariaTuroldo scriveva: "La terra è una nave sulla quale siamo imbarcati tutti, magari c'è chi viaggia in prima classe, chi in seconda e chi nella stiva, e sarà opportuno fare in modo che tutti viaggino bene, ma non possiamo permettere che affondi, perché non ci sarà un'altra Arca di Noè".


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