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17 Settembre 2015

I profughi si raccontano a scuola

Iniziativa Ducale-Sant'Egidio-Miur. I giovani migranti invitati alle Superiori. "Così l'integrazione nasce in classe"

 
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Profughi nelle scuole, per raccontare la loro drammatica storia ai ragazzi poco più piccoli di loro.
Accade a Genova, per la prima volta in Italia: se è vero che tra i banchi nascono le amicizie più solide, allora la scuola pubblica diventa luogo geometrico della cultura dell'accoglienza e dell'incontro. O più semplicemente, di educazione civica, fatta direttamente dai ragazzi.
Il direttore dell'ufficio scolastico regionale, Sara Pagano, ha appena diramato una circolare a tutti i dirigenti scolastici per informarli dell'avvio di una serie di incontri, direttamente negli stessi istituti, tra gli alunni e i profughi ospitati a Genova.
Entro la fine dell'anno, dunque, potranno cominciare gli appuntamenti, organizzati in orario scolastico, tra ragazzi quasi coetanei, nati sulle sponde opposte del Mediterraneo.
Il passaggio successivo, nella realizzazione del progetto, consiste nella raccolta di richieste di adesione alla rete di scuole ospitanti da parte degli stessi dirigenti scolastici.
«Sono già una decina le scuole che hanno chiesto di partecipare, rispondendo immediatamente alla chiamata - indica Andrea Chiappori, Comunità di Sant'Egidio - i ragazzi ospitati nelle strutture gestite dalle cooperative sociali accreditate presso la Prefettura saranno invitati tra i banchi per raccontarsi, farsi vedere, rispondere alle domande». 
Il progetto si chiama "Storie di una giovinezza diversa" ed è sgorgato dalla collaborazione tra la stessa Comunità di Sant'Egidio e Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, che hanno deciso di proporlo, quest'anno, alla direzione scolastica regionale. E la direttrice Sara Pagano, entusiasta, ha dato immediatamente impulso all'operazione.
«Quando manca la conoscenza diretta, allora si genera la xenofobia. - dice Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura - Da molti anni lavoriamo con Sant'Egidio alla costruzione di parti del programma del Ducale, con la scuola della Pace, e anche quest'anno, a gennaio, ospiteremo un convegno nazionale sulle povertà. Il confronto tra giovani che hanno attraversato l'Africa e giovani studenti genovesi è un'opportunità che abbiamo pensato potesse diventare una proposta di progetto. E abbiamo cominciato così a declinare un modello di rapporto, tra la nostra istituzione e le scuole, che potrebbe essere replicato anche su altri temi, sociali e culturali».
Nel cerchio delle scuole "apripista", nel progetto pioniero di Ducale-Sant'Egidio, si è pensato di far partire le secondarie di secondo grado, coinvolgendo i ragazzi degli ultimi due anni. Ovvero diciassette-diciottenni, non solo per la maturità raggiunta, ma anche per la vicinanza anagrafica dei loro interlocutori ospiti. «L'età media dei profughi a Genova è intorno ai 20 anni - spiega Chiappori - anche l'omogeneità anagrafica aiuterà ad abbattere muri costruiti artatamente per complicare rapporti che devono soltanto avere il tempo di nascere».
Nulla però vieta a scuole di altro ordine e grado di fare domanda di partecipazione. «Le classi sono formate da ragazzi e bambini provenienti da tante parti del mondo, anche i più piccoli - indica Chiappori - affiancati dai docenti possono avere così un'ottima opportunità».
Anche se Sant'Egidio non gestisce direttamente l'accoglienza dei profughi, ha messo a disposizione del centro Migrantes della Caritas la propria "rodatissima" scuola di Italiano per stranieri, fondata nel 1982. «Durante gli anni scorsi, le lezioni si fermavano a giugno e riprendevano ad ottobre, quest'anno non ci siamo mai fermati, proprio per dare un servizio continuo a queste persone, nel primo passo necessario per l'integrazione».
(.....) «Abbiamo bisogno di ragazzi che mastichino un poco di italiano - spiega Chiappori - anche se con loro ci sarà sempre, nelle scuole, un operatore delle associazioni che li hanno in carico. E soprattutto, questi ragazzi devono essere disposti a rivivere la loro fuga dalla guerra e dalla disperazione. Cominciamo in questi giorni ad avere i primi volontari, in alcuni casi però la fatica a raccontare il dolore è troppo grande».


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