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16 Ottobre 2015

A Catania, gli uomini si mescolano con la sabbia che li ha accolti

Insieme ai migranti ho scoperto un'altra umanità. E dei fratelli

L'artista cinese Liu Bolin, aiutato dalla Comunità di Sant'Egidio, ha portato sulla spiaggia degli sbarchi una sessantina di ospiti del Cara di Mineo

 
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La questione del massiccio afflusso  di migranti è diventata globale e rovente solo ora che ha investito altri Paesi europei finora "esentati", mentre l'Italia, avamposto per il Mediterraneo, se ne occupa già da decenni. Il New York Times ha scritto di un piano segreto europeo per espellerne e rimpatriarne 400mila (la cui domanda d'asilo è stata respinta) negli Stati di provenienza. L'aver pensato a un progetto artistico su di loro (con l'aiuto della Comunità di Sant'Egidio attiva a Catania) coinvolgendo una sessantina di questi che vivono nel Cara di Mineo, non è "folclore". Negli anni, diversi artisti si sono spesi materialmente sul campo, tra i primi Mimmo Paladino che installò a Lampedusa la sua scultura Porta d'Oriente (2005), poi il tedesco Kilpper con il suo Faro per Lampedusa!, costruito con legni e cascami delle carrette del mare (esposto nel 2008 alla galleria Dispari&Dispari di Reggio Emilia). Oggi star come Banksy, Ai Weiwei e Kapoor manifestano per l'accoglienza. Il cinese Liu Bolin, meglio noto come il "camaleonte" che si fa dipingere fino a scomparire in paesaggi e monumenti, ha scelto il porto e la spiaggia di Catania come set del suo nuovo progetto (prodotto dalla galleria Boxart di Verona, che festeggia così il suo ventennale). Nel tratto dí mare davanti al Lido Verde, il 10 agosto 2013 arrivò un imprevisto barcone di nordafricani, e sei giovani morirono annegati, così rammenta la targa all'ingresso dello stabilimento balneare, e così ricorda bene anche Dario Monteforte, il proprietario che iniziò a soccorrerli sulla spiaggia. «Catania non era mai stato un approdo. Dormivo nello stabilimento per controllare l'edificio. Alle 4 di mattina fui svegliato da un intenso vociare, erano giovani, tutti parlavano correntemente l'inglese, avevano solo fretta di andar via».
Aranceti e filo spinato. Prima di dare avvio a questa insolita performance, Bolin ha girato con ognuno dei migranti - per la maggior parte nigeriani - un'intervista in cui ciascuno ha raccontato storie di sopravvivenza, paure, soprusi, speranze. Non a caso le ultime foto che Liu Bolin ha scattato con loro sono quelle in cui ha fatto scrivere la parola "future" sulla pelle, in un contrasto nero/bianco. «Sono stato a Lampedusa, dall'Africa e dal Medioriente preme questa folla di gente. Tutti vogliono diventare europei, per questo realizzerò con i migranti una foto con, sullo sfondo, la bandiera stellata. Ma il problema di queste migrazioni di massa ha radici più lontane, e a mio avviso risale alla riunificazione delle due Germanie», dice l'artista. «Molti Paesi li rifiutano e costruiscono muri come l'Ungheria. Terribile, così ci si dimentica dell'umano. Io vedo questi migranti pieni di speranza, di futuro. Nessuno vorrebbe essere come loro. Molti sono diplomati, laureati, io li ho intervistati singolarmente e tante volte sono scoppiati a piangere mentre raccontavano la loro storia. Ci siamo parlati anche con gli occhi».
E da un primo momento di diffidenza verso l'arte, man mano queste persone, grazie alla performance dí Liu Bolin, hanno fatto un'esperienza di libertà difficile per loro da immaginare, visto che nel Cara di Mineo passano i giorni in una condizione di attesa, e anche d'inedia, come spiega Emiliano Abramo, responsabile della Comunità di Sant'Egidio a Catania. «I migranti entrano al Cara di Mineo (ex base Nato che accoglieva duemila militari americani) con il modello C3, dato dalla polizia al momento dello sbarco. Questo è il centro di accoglienza più grande d'Europa, però molto criticato per il tipo di condizioni giuridico-ambientali, anche se la struttura è composta da villette, campi da baseball o da calcio. Il problema è che per far integrare dei giovani nella società li si mette in mezzo alla campagna. Non ci sono centri abitati vicini, e per muoversi occorrono auto o pulmini. Poi per i migranti ci sono dei tempi di attesa molto lunghi (uno, due anni) prima di essere ascoltati dalle commissioni che devono valutare la richiesta per il diritto di asilo. Quindi si sta tanto tempo nella struttura, con l'esercito fuori, e soprattutto senza fare nulla. Si rischia d'impazzire, si dorme tantissimo. L'aspettativa di chi attraversa due mari, uno di sabbia e l'altro di acqua, è di arrivare qui per avere un futuro, mentre ci si ritrova fermi in mezzo agli aranceti, con il filo spinato intorno».
Ma le commissioni non sono aumentate? «Quelle di Catania, Siracusa ed Enna sono intasate di richieste. Nel 2014, su 170rnila migranti entrati in Italia, 100mila sono passati da Catania», spiega Abramo. «Il Ministero ha raddoppiato le commissioni in tutta Italia, ma è qui che ce n'è più bisogno. Chi ha ricevuto un diniego alla propria domanda, attiva il ricorso. E il 60% sono ormai rifiutate, così alla fine il migrante rischia di restare al Cara di Mineo per 4 anni. E allora c'è il rischio che scelgano di diventare clandestini, facendo incontri di tutti i tipi. Privandosi dei diritti».
Integrazione. Il pericolo viene anche dall'indolenza nella quale finiscono col ritrovarsi. L'opera svolta dalla Comunità di Sant'Egidio consiste nel tirarli fuori da questo limbo, ad esempio ospitandoli nelle case dei loro volontari per le 48 ore di libera uscita consentite dal protocollo. «Li coinvolgiamo in attività socialmente utili con gli anziani soli, i bambini dei quartieri di mafia, con chi vive in strada: questo li colpisce molto, non pensavano di vedere la povertà anche qui da noi», spiega Abramo. «Noi vogliamo aprirli a una vita normale fatta di amicizie, di affetti (quest'anno ci sono stati quattro matrimoni, anche misti, e tre nascite)». Molti però hanno interrotto i rapporti con le famiglie d'origine, convinte che se una persona è arrivata viva in Italia sia già ricca, e torni presto per ricongiungersi a moglie e figli. Se un ragazzo si fa un selfie vicino a una macchina lussuosa e poi la posta su Facebook questo ingenera ancor più false speranze a casa. «I migranti hanno difficoltà a spiegare ai congiunti che non vivono in città ma all'interno di un centro, che non possono lavorare, in attesa che la commissione valuti le loro richieste», conclude Abramo. (.....)


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