Milano. Al binario della Shoah studenti e profughi insieme

E' finita che la professoressa ha dovuto dire grazie ai profughi incontrati al Memoriale della Shoah di Milano: «Perché hanno permesso ai ragazzi di dare concretezza agli sbarchi visti al telegiornale, di cui avevano sentito parlare solo in modo astratto». E invece avevano il volto di Hermon, adolescente eritreo in fuga dalla dittatura e dal servizio militare a vita, o di Jafar, siriano che ha abbandonato l'università a causa della guerra. «E le vesciche ai piedi di chi ha camminato sulla rotta balcanica», aggiunge Elisa Graziano, insegnante di Italiano e Storia del liceo artistico "Caravaggio".
Il Memoriale, al Binario 21 della stazione Centrale, dove tra il 1943 e il 1945 migliaia di ebrei furono caricati sui vagoni merci per i lager, è diventato un luogo dell'accoglienza (gratuita e senza costi per le istituzioni). Dal 22 giugno a fine novembre ha ospitato 5mila profughi in transito dal capoluogo lombardo nel loro viaggio verso il Nord Europa. Ed è pronta a riaprire alla prima emergenza. «Ma anche - continua la professoressa Graziano - un luogo di cultura e di promozione della solidarietà per i giovani, che può essere contagiosa".
È quello che è successo anche a lei. «Un amico della Comunità di Sant'Egidio mi ha chiesto di dare una mano d'estate e al ritorno a scuola ho iniziato a parlarne. Raccontavo sempre di due ragazze eritree di 15 anni, in viaggio da quattro mesi, con storie terribili, soprattutto in Libia. Nonostante tutto, con loro avevo vissuto una serata di amicizia, sedute su una brandina a mangiare pollo e patate». Cinque studenti di una classe e un collega sono stati i primi ad accompagnarla una sera. Poi il passaparola è diventato uno tsunami: decine di professori, vicepreside compresa, e tantissimi alunni hanno iniziato a venire al Memoriale, tutta la scuola si è mobilitata per raccogliere biscotti, frutta e pannolini, la Comunità di Sant'Egidio è stata invitata in più assemblee. «È stata - spiega l'insegnante - un'esperienza profondamente didattica: abbiamo collegato lezioni di geopolitica e filosofia, riflessioni sulla cittadinanza, ma soprattutto abbiamo portato il mondo a scuola e i ragazzi nella città e nel mondo».
L'ingresso di questo "percorso didattico", ovvero del Memoriale della Shoah, è una porta grigia, ma all'interno i colori non mancano: alle pareti sono appese le decorazioni fatte dagli studenti delle scuole milanesi, i messaggi di solidarietà che tanti cittadini hanno voluto lasciare e quelli di ringraziamento dei migranti, scritti in arabo, inglese, tigrino, urdu, pashtun, farsi. Su un cartellone tutti - milanesi e profughi - hanno ricalcato una mano e scritto il loro nome.
C'è anche quello di Ilaria Sibella, quinta superiore del "Caravaggio", che è venuta tre volte. «La prima ho giocato con i bimbi di una famiglia irachena, la seconda ho distribuito il cibo a ragazzi che parlavano inglese e mi hanno raccontato la loro storia. La sera dopo, sono tornata a trovare degli amici, i profughi». Ilaria si era accorta che mancava la musica. «Ho portato una chitarra e ci siamo divertiti, da coetanei, a suonare. Quando ho scoperto che uno di loro conosceva il ritornello di Sapore di sale, ho improvvisato gli accordi».
Un'altra volta i ragazzi del "Caravaggio", studenti di liceo artistico, hanno fatto dei disegni insieme ai profughi, quella sera soprattutto afgani. Atiq, 17 anni, ha raccontato del suo viaggio durato 18 mesi: Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e poi la rotta balcanica. Entrato a piedi in Italia dalla Slovenia, era diretto in Francia. Invece Samiullah, anche lui afgano, con un pennarello verde ha disegnato un camion. Dice Chiara, sedicenne come lui: «Era nascosto nel retro, spaventato. Come i profughi morti mentre passavano dall'Ungheria all'Austria, di cui abbiamo sentito al telegiornale».


[ Stefano Pasta ]