Migranti e innovazione «Così riparte Padova»

La popolazione invecchia e sono gli stranieri a garantire la forza lavoro. Centro svuotato e periferie dilatate: le idee per ricostruire una comunità

Padova invecchia inesorabilmente. E se vuole alzare lo sguardo al suo futuro è quello dell'inclusione l'unico paradigma cui guardare. I numeri non lasciano spazio alla fantasia. Se oggi la fetta più consistente di popolazione è ricompresa nella fascia di età che va dai 30 ai 59 anni, nel 2035 sarà quella degli over 60 la fetta maggioritaria. In città ci sono 3.400 ultranovantenni e se ne aggiungono 10 ogni mese. Fra dieci anni saranno quasi 5 mila. Oltre 6 mila fra vent'anni. Sono più di quarantamila le persone che vivono sole, di cui oltre 16 mila hanno più di 65 anni. Centro storico che si svuota, periferie fisiche e periferie esistenziali che si dilatano e che frammentano le relazioni. È in questi dati che si insinua la necessità di guardare ai migranti - ma anche agli anziani - come risorsa, e di innovare, profondamente, il tessuto relazionale. Di Padova inclusiva si è parlato ieri mattina al convegno promosso dalla Comunità di Sant'Egidio. I diversi interventi hanno delineato l'affresco fatto di chiari e scuri di una città che sembra in stallo, ancorata quando non condannata a progetti invecchiati e rimasti al palo, stretta fra contraddizioni e incapacità di reagire. Ma hanno anche fornito chiavi di lettura e possibili vie di uscita.
Centro e periferie.
«Padova può crescere se ritrova l'unità fra il centro e la periferia, altrimenti c'è il rischio che si creino mondi isolati» nota Alessandra Coin di Sant'Egidio, «troppi padovani non hanno alcun senso di appartenenza alla città. Bisogna cambiare il punto di vista, guardare dalla periferia al centro. Il tema dei quartieri non è la presenza più o meno marcata di immigrati ma il venir meno del tessuto sociale, dell'integrazione, dell'incontro. La politica che compatta contro l'altro non ha futuro, l'idea di fortezza logora la città». Fortezze piccole e grandi non mancano. Anche i dissuasori sulle panchine, perché non vi si possa stendere, altro non sono che un modo per allontanare l'indesiderato e relegarlo ai margini. «Oggi la smart city è quella che pensa agli anziani e ai poveri, che include, che riconosce nei giovani migranti una risorsa: è da questa periferia umana che si può ricostruire l'insieme di città». E variegata la periferia su cui si allunga l'ombra del Santo: Mortise, quartiere popoloso e con la più alta concentrazione di palazzi di edilizia popolare, che dal centro città è separato anche fisicamente dalla ferrovia. Da vent'anni la Comunità di Sant'Egidio è presente con la Scuola della Pace. Un termometro per misurare le domande e le preoccupazioni dei cittadini, ma anche laboratorio di convivenza. È qui che emerge l'energia dal basso, delle parrocchie, dei negozianti, delle scuole. Portello, antico quartiere operaio con la popolazione più anziana che deve convivere con gli studenti universitari e dove si sconta l'assenza di spazi per l'aggregazione. Stanga, Fiera e Stazione con una concentrazione di stranieri che supera il 25%.
Anziani e migranti.
«Se Padova chiudesse le porte oggi ai migranti» la considerazione del professor Gianpiero Dalla Zuanna (senatore Pd), «passerebbe nel giro di vent'anni da 125 mila abitanti in età lavorativa ad appena 95 mila. Un andamento che, combinato con l'invecchiamento della popolazione, porterebbe al default, all'insostenibilità di qualsiasi tipo di welfare». La fascia di popolazione compresa tra O e 29 anni rimane nelle proiezioni dei prossimi vent'anni costante solo grazie all'ingresso migratorio, senza il quale si creerebbe un buco demografico. L'altro fronte è quindi quello dell'invecchiamento della popolazione: «Il "continente anziani" non deve essere una zavorra» la posizione di Monica Mazzucato, di Sant'Egidio, «quello che serve è una nuova alleanza fra generazioni, perché se il bisogno degli anziani è ovvio, non lo è altrettanto quello dei giovani, che pure, però, vivono di grandi solitudini». La stessa relazione con i migranti deve rinnovarsi: se da una parte si chiede aiuto dall'altra bisogna essere pronti a ricambiare.
Polis o civitas?
«C'è una città se intercorrono relazioni, se ci sono il rispetto e la giustizia, città non è solo abitazioni messe in fila» il ragionamento che attinge alla filosofia del professor Umberto Curi, «la polis che si fonda sulla stirpe e l'appartenenza si affida a un criterio rigido che genera ostilità verso tutto ciò che risulta esterno. Tanto più è restrittivo il criterio di inclusione, tanto più la città è bellica. E si condanna all'insicurezza. Non a caso polis ha la stessa radice di polemos, guerra. La civitas romana si fonda invece su persone di tradizioni e culture diverse che si assoggettano alla stessa legge, uniti non dall'origine ma dal loro fine. È la città inclusiva, mobile, dinamica, che cresce e tende all'espansione». È la globalizzazione. 


[ Elena Livieri ]