"Papa Francesco ci ha adottato, qui in Italia comincia la nostra seconda vita"

La storia
I migranti. Nour, Hassan e il loro bimbo sono siriani. Bergoglio li ha portati a Roma da Lesbo: "Andiamo a scuola, vogliamo integrarci"

 «Quando salimmo sull'aereo papale ci diedero da mangiare delle lasagne. Facemmo tutti il bis e anche il tris. Eravamo affamati e felici. Quelle lasagne furono il primo bellissimo segno che c'era un Paese, l'Italia, che grazie a Francesco ci voleva, ci accoglieva». Sorride Nour, giovane mamma di Riad (2 anni), mentre assieme al marito Hasan, entrambi profughi siriani arrivati a Lesbo mesi fa e il 16 aprile portati dal Papa a Roma, racconta del suo presente nell'atrio esterno della Scuola di lingua e cultura italiana che la Comunità di Sant'Egidio ha aperto a Trastevere (dal 1982) e che ora è allestita nei locali di una ex lavanderia dell'ospeciale San Gallicano. Grazie all'aiuto della Comunità, a cui Francesco ha affidato tutte e tre le famiglie portate con sé a Roma, non solo Nour e Hasan, ma anche Ramy e Suhila coi loro figli Kudus (7 anni ), Abdalmajid (15 anni) e Rashid (17 anni), Osama e Wafaa coi figli Masa di 8 armi e Omar di 6, hanno iniziato una nuova vita. Per arrivare, è notizia di questi giorni, anche all'agognato status di rifugiati.
Sbarcati con Francesco a Ciampino, le tre famiglie hanno chiesto a Daniela Pompei, responsabile di Sant'Egidio per i servizi agli immigrati, di poter da subito studiare italiano. «Desideravano integrarsi - racconta Pompei - e volevano iniziare con lo studio della lingua. Poi con la conoscenza di Roma, del Vaticano. Abbiamo fatto diverse gite insieme». Racconta Nour: «La Comunità mi ha proposto di iscrivere subito in un asilo di suore di Trastevere mio figlio. Io non volevo, pensavo che non si sarebbe integrato. Ho provato a mandarlo. È felicissimo. Anche se a volte, a lui come a tutti noi, torna in mente il passato e non sono ricordi belli».
Tutte e tre le famiglie sono state costrette a fuggire dalla Siria: due famiglie dalla periferia di Damasco, una da Deir Azzor, territorio conquistato dall'IS. In aeroporto a Ciampino, mentre attendevano di sbrigare le pratiche in dogana, Suhila uscì un attimo a fumare. I due figli le andarono dietro come per proteggerla: erano ancora abituati alla Siria, dove se fumavano in pubblico o andavano in giro senza velo venivano repressi.
A Trastevere, nei locali di un centro di accoglienza della Comunità, le giornate scorrono comunque serene. Le necessità di tutti i giorni sono coperte economicamente da Francesco, che spesso chiede notizie. Ogni famiglia ha una sua stanza da letto, un bagno e una cucina. «Nella nostra mente - racconta Ramy - abbiamo ancora le parole che Francesco disse durante la conferenza stampa sul volo di ritorno da Lesbo. L'interprete della Comunità ci tradusse tutto. Quando gli chiesero del fatto che i profughi musulmani fanno più fatica a integrarsi in Europa rispetto ad altri ha risposto in un modo che ci ha commosso: ha detto che siamo tutti figli di Dio. E che l'unico privilegio che esiste è appunto quello di essere figli di Dio. Nessuno, neanche i nostri fratelli musulmani, ci ha mai trattato così. Poi volle che scendessimo dalla scaletta dell'aereo immediatamente dietro di lui. Voleva che si vedesse che tornavamo da Lesbo insieme a lui. Voleva dare un segno a tutti. Prima della guerra la Siria era bellissima. Cristiani e musulmani convivevano. Anche qui può essere lo stesso».
Dopo la scuola, il tempo libero è dedicato ad altre attività. Nour e Hasan, entrambi ingegneri chimici, stanno facendo dei colloqui di lavoro. I bambini partecipano anche ad alcune attività sportive. Una signora romana che porta la figlia a judo a Trastevere, saputo dell'arrivo delle tre famiglie, ha convinto la scuola di judo a prendere gratis i rispettivi bambini. «Roma e più in generale l'Italia - racconta Pompei - hanno una grande capacità di accoglienza. E sono in tanti a non ascoltare i proclami allarmistici: in pochi sanno che negli ultimi anni in Europa il fenomeno immigratorio è in diminuzione».
Francesco a Lesbo ha di fatto mostrato come i corridoi umanitari possano essere la risposta più giusta al fenomeno immigratorio. Chi viene accolto tramite i corridoi si fa a sua volta accogliente: tanti dei profughi che in questi anni sono passati dalla Scuola di Sant'Egidio, che solo a Roma ha 3.500 iscritti, appena arriva un nuovo immigrato vanno ad accoglierlo, lo aiutano nelle prime necessità. Anche le tre famiglie siriane il prossimo 16 giugno saranno a Ciampino per l'arrivo, dal Libano, di altri 81 siriani. «Vogliamo essere li per farli da subito sentire a casa», dicono. «Loro non lo sanno ancora, ma è possibile sentirsi a casa anche a migliaia di chilometri di distanza».
Certo, nessuno dimentica che in tanti non ce la fanno e che, come ricorda Pompei, «il Mediterraneo, in particolare il mare tra l'Italia, la Libia e l'Egitto, è il più pericoloso del mondo». Per questo Sant'Egidio, con altre associazioni, organizza il 23 giugno una preghiera in memoria di quanti non ce l'hanno fatta. L'hanno chiamata "Morire di Speranza". Uno per uno verranno scanditi i nomi di coloro che nel mare sono affogati.


[ Paolo Rodari ]