«Lo Spirito di Assisi, le grandi religioni custodi della pace». Intervista a Marco Impagliazzo

Dopo 30 anni. Il presidente della Comunità di Sant'Egidio: «Ci attende una nuova sfida: la globalizzazione ci spinge a vivere insieme, ma il terrorismo ci vuole dividere»

Di nuovo ad Assisi trent'anni dopo la memorabile giornata voluta da Giovanni Paolo II, quando Karol Wojtyla rimise la pace nelle mani delle religioni e lanciò una sfida. In questi trent'anni è stata raccolta e con tenacia trasformata dalla Comunità di Sant'Egidio nello «Spirito di Assisi», un'idea che si diffonde per costruire qualcosa di nuovo e non una semplice commemorazione annuale dell'incontro del 1986. Oggi si può dire che quelli di Sant'Egidio sono riusciti nell'impresa di aver messo le religioni di fronte alla propria responsabilità e di non aver perso la traccia indicata al mondo dal Papa polacco. Da domani i leader religiosi si ritroveranno ancora ad Assisi e martedì arriverà anche Papa Francesco. Spiega Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio: «Abbiamo cercato l'unità contro chi ci vuole dividere e oggi tutti, compreso l'islam, hanno capito che quando si parla di guerra di religione si fa la guerra alla religione». 
Professor Impagliazzo, il mondo è cambiato da quel 1986. In meglio o peggio? 
«Trent'anni fa c'era la Guerraf redda, il Muro di Berlino, il mondo diviso in due e milioni di europei vivevano fuori dalla democrazia e dalla libertà. Oggi la situazione da questo punto di vista è sicuramente migliorata. Ma anche in altri scenari internazionali le cose vanno meglio, dall'Africa all'America Latina.Adesso siamo di fronte a una sfida nuova: da una parte c'è la globalizzazione che ci spinge a vivere insieme, dall'altra il terrorismo che ci vuole dividere. L'11 settembre ha segnato la nuova road map dell'impegno delle religioni per la pace».
Chi ha fatto più fatica a capirlo?
«L'islam, senza dubbio. Ma in questi anni anche il mondo islamico si è convinto che bisogna tagliare ogni riferimento alla violenza quando si parla di religione e che la violenza non va mai usata in nome di Dio. Non è cammino concluso e gli incontri annuali degli uomini di religione servono proprio per continuare a riflettere».
Quello di Wojtyla ne 1986 fu un azzardo?
«Fu un colpo di genio di un vescovo del Concilio. Mai nessun incontro ecumenico o interreligioso ebbe prima di allora un'eco così significativa nel mondo».
Però Wojtyla venne criticato anche dalla Curia.
«Non è un mistero che dovette in seguito difendere la sua iniziativa per mesi, appellandosi al Concilio e alla Bibbia. Quella Giornata sorprese tutti, gli osservatori esterni e i membri della Curia romana. Anche il cardinale Joseph Ratzinger non era molto contento. Ma poi,una volta eletto Papa, proprio in uno dei nostri incontri annuali a Napoli nel 2007, confermò lo "Spirito diAssisi" e l'intuizione di Wojtyla. Le posso dire che le più grandi opposizioni alla santità di Wojtyla hanno riguardato proprio la Giornata di Assisi. Dalle carte del processo emergono posizioni durissime contro lo "Spirito di Assisi". Proprio per aver diffuso questo spirito, per alcuni, Giovanni Paolo II non avrebbe mai dovuto essere proclamato né Beato, né Santo».
Voi invece avete immediatamente colto la portata del messaggio organizzando da allora ogni anno l'incontro Uomini e Religiosi. Avete avuto anche voi opposizioni?
«Sì e opposizioni forti. L'idea che girava in Curia era che l'incontro di Assisi dovesse rimanere un "unicum". Noi invece pensavamo che quell'incontro potesse avviare uno spirito nuovo nel dialogo per la pace tra le religioni. E così organizzammo un altro appuntamento un anno dopo».
Vi siete presi la vostra libertà di laici.
«Non direi libertà, ma responsabilità. Non potevamo fare altrimenti. Sapevamo che il Papa stava dalla nostra parte. Ma fu difficilissimo».
Perché?
«Al primo incontro del 1987 venne solo il cardinale Martini e il vescovo Pietro Rossano, campione del dialogo ecumenico a Roma e fidatissimo consigliere di Wojtyla. La Curia preparò un messaggio per il Papa da inviare all'incontro nel quale si lodava la Comunità di Sant'Egidio per l'impegno a favore degli anziani. Per poco non ci scomunicavano. Ma Andrea Riccardi non sifece alcun problema. Ricordo che disse. "Se non ci scomunica il Papa..." E Woj tyla ci incoraggiò ad andare avanti. Ma eravamo molto preoccupati».
Come finì?
«Che tutti a poco a poco, anche in Curia, capirono che la giornata del 1986 non poteva rimanere un simbolo del Pontificato, ma diventare un movimento, uno spirito che cambiava i cuori. I credenti dovevano diventare un sorta di bussola circa la via da seguire per arrivare alla pace. Non è stato facile, abbiamo fatto fatica. Ma se oggi nel mondo si è più consapevoli della tragedia dello scontro di civiltà lo si deve anche a questi appuntamenti annuali che hanno diffuso lo "Spirito diAssisi".Abbiamo scoperto che ogni comunità religiosa ha in sé energie di pace e che ciò che conta è come liberarle». 


[ Alberto Bobbio ]