Non solo faide, al Sud si parla di pace

Libia. La comunità di S. Egidio al lavoro in una zona trascurata dagli osservatori
Mauro Garofalo: "Sono state le stesse tribù a coinvolgerci e ora lavoriamo a una mediazione fra Tuareg e Toubou, poi cercheremo l'attenzione dei Ghaddafa"

La Libia non è lo "scatolone di sabbia" di Salvemini. Lontano dalle luci dei media e della politica, distante dal Mediterraneo degli scafisti, dei migranti e delle sanguinarie azioni propagandistiche dell'Isis, pulsa il cuore profondo del Paese. Quello dove tutte le rotte si incrociano ben prima di sfociare sulla costa. Rotte del commercio e quindi di trafficanti di uomini, di droga e di tutto quello che si può illegalmente trasportare tra un confine e l'altro del Sahara. Ma dove c'è anche chi lavora per ricomporre un quadro che resta instabile, nonostante la facciata degli accordi diplomatici.
"Senza il Sud non c'è la pace", spiega Mauro Garofalo, responsabile delle relazioni internazionali della comunità di S. 
Egidio. Da anni ormai dopo l'intervento occidentale, la caduta di Gheddafi e l'esplodere del caos, l'organizzazione cattolica sta operando nel grande sud dimenticato della Libia: la regione occidentale del Fezzan. "Il Paese rimane profondamente diviso. Ma se dal Nord arrivano cattive notizie, quelle buone vengono sicuramente dal Sud. All'inizio siamo stati tirati dentro dalle stesse tribù del Sud, lavorando prima alla mediazione tra Tuareg e Toubou". Partendo da lì gli operatori hanno aperto spazi di dialogo tra altre tribù e le milizie, "come dei cerchi concentrici entro cui vorremmo coinvolgere anche la tribù araba e quella dei Ghaddafa".
Prosegue Garofalo: "Lo scorso giugno abbiamo raggiunto un accordo generale tra i gruppi per permettere l'accesso ai centri sanitari della zona. Così con i cooperanti italiani siamo riusciti a portare medicine dove mancavano da tempo. Solo poche settimane fa, poi, abbiamo favorito il ritorno degli studenti nei luoghi di formazione: un elemento essenziale sulla strada della stabilizzazione". Insomma, "non è possibile pensare al dialogo nazionale senza che lo stesso sud della Libia sia protagonista. S. 
Egidio non ha fatto altro che portare alla ribalta questa realtà", conclude Garofalo.
Per capire quanto l'entroterra libico abbia un impatto diretto sull'Italia e l'Europa basterebbe considerare la traiettoria delle
rotte dei migranti, che si muovono inizialmente dalla Costa d'Avorio, dal Senegal, dal Niger o dalla Nigeria prima di passare in Libia. Eppure, siamo abituati a concentrare l'attenzione sul Nord della Libia. La narrativa del terrore ha amplificato la delimitazione geografica della Libia alle sue sponde mediterranee. Basti ricordare il video dell'esecuzione da parte dell'Isis dei prigionieri cristiani, con tanto di sangue che scorreva in mare o l'allarme sulla presenza jihadista nella città di Sirte, dove continua la battaglia. Sull'enfasi verso il Nord ha giocato anche il rapporto storico tra l'Italia e Tripoli. S. Egidio invece ha fatto una scelta che parte da un assunto geopolitico preciso: quello di considerare la Libia parte integrante del continente africano. L'interesse per la crisi libica sembra però destinato a uscire dal radar dello scacchiere internazionale. Con Donald Trump alla Casa Bianca, sarà da verificare se Washington si occuperà principalmente di trovare un buon accordo con Putin sul destino della Siria e di Assad.


[ Andrea Valdambrini ]