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18 Giugno 2012

«Cittadinanza ai figli degli immigrati»

È la richiesta uscita dal forum degli «Amici dei poveri», subito raccolta dal ministro per la Cooperazione, Andrea Riccardi. Sollecitata anche la revisione della Bossi-Fini

 
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NAPOLI - I rappresentanti delle 160 associazioni e movimenti che hanno preso parte a Napoli agli stati generali degli «Amici dei poveri» lo hanno chiesto con forza: avviare l'iter legislativo per riconoscere la cittadinanza italiana ai bimbi, figli di stranieri, nati Italia. Un riconoscimento «auspicabile», ha detto subito dopo il ministro per la Cooperazione internazionale e  l'integrazione, Andrea Riccardi, ricordando che più volte ha posto questo tema.

A suscitare l'appassionato dibattito sul riconoscimento della cittadinanza ai figli degli stranieri nella due giorni sul tema «Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri» è stata la toccante testimonianza, resa sabato sera, di un ragazzo di 13 anni, residente a Roma,  figlio di un immigrato del Sudan e di una donna salvadoregna. Il ragazzo ama profondamente l'Italia. «Ma mi hanno detto qualche tempo fa che io per la legge non sono italiano. Mi sembra  ssurdo. Non riesco nemmeno a pensarmi di un'altra nazionalità», ha raccontato. «Tanti sono come lui. È urgente che la politica dia presto risposte a lui e alla sua generazione», ha rilanciato il presidente nazionale della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo lanciando un appello.

Il ministro Riccardi poi, parlando con i giornalisti, ha auspicato che ci sia una soluzione in tal senso. La platea dei partecipanti -suddivisa in tredici gruppi di studio - ha chiesto anche la revisione della legge Bossi- Fini. È stato sempre Impagliazzo a rappresentare le valutazioni fatte dai volontari secondo i quali c'è ancora «un certo disprezzo verso gli stranieri. Ma - ha aggiunto - bisogna reagire con forza».

Tra gli obiettivi prioritari quello della integrazione dei cittadini rom, «per dare finalmente una svolta alla difficile convivenza nelle nostre città». Impagliazzo ha anche individuato la condizione dei poveri come «luogo ideale intorno al quale si può costruire l'unità delle Chiese del mondo, soprattutto tra cristiani e musulmani». Nella due giorni – promossa dalla diocesi di Napoli e dalla comunità di Sant'Egidio e dalla comunità Giovanni XXIII - si è fatto il punto sul lavoro silenzioso svolto in ogni angolo di Italia ma anche all'estero da migliaia di persone dei movimenti e delle associazioni ecclesiali che operano nel solco delle linee tracciate, 50 anni fa, dal Concilio Vaticano II. Si tratta di quelle persone che quotidianamente sono accanto agli ammalati di Aids, ai minori a rischio, ai tossicodipendenti o più semplicemente a quelle famiglie che sono in difficoltà e che hanno come unico punto di riferimento per sfamarsi le mense parrocchiali.

«È l'Italia che non fa rumore, l'Italia che lavora con gli ultimi, con i poveri, molto preziosa in questo tempo di crisi», ha ricordato ancora il ministro Riccardi ribadendo che si può essere vicini ai poveri, anche con mezzi poveri, «non brutti». Sulla stessa lunghezza d'onda l'arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe: «Non si fanno cose grandi perchè si è potenti o perchè si è grande. Il regno di Dio non si costruisce o si impone per una potenza esteriore e per la grandiosità umana». 

 

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