«Rivoluzionerò l'assistenza sociale, puntando sulla domiciliarietà. L'attenzione ai più fragili sarà uno dei punti principali dell'azione della Giunta Marino, il sindaco ne ha parlato fin dalla campagna elettorale». Rita Cutini è il nuovo assessore capitolino al Sostegno sociale e sussidiarietà: temi che conosce da vicino, essendo un'assistente sociale, oltre a far parte della Comunità di Sant'Egidio.
Quali sono i primi problemi che ha incontrato? «Intanto le drastiche riduzioni di ore di assistenza imposte dalla delibera 355/12 della Giunta Alemanno, che alzava il costo orario delle prestazioni, imponendone così di fatto una diminuzione. Stiamo lavorando per modificarla».
E come pensa di intervenire? «Ecco, io credo che serva un cambio di mentalità, prima di tutto. E' anche una questione di risorse, ma soprattutto di modo di pensare».
In che senso? «Ci sono Paesi, come quelli dell'Europa del Nord, in cui l'assistenza domiciliare arriva al 20-30% dei casi trattati, con un risparmio economico importante e una maggiore soddisfazione dell'utente. Nel Lazio arriviamo sì e no al 3 - 3,5%, troppo poco».
A chi si può applicare l'assistenza domiciliare? «La casistica è molto ampia: si va dall'anziano che ha solo bisogno di qualcuno che gli faccia la spesa due o tre volte a settimana, al malato cronico che restando nel suo ambiente domestico ne trae anche un giovamento psicologico».
Altri casi? «Ce ne possono essere tanti altri, è per questo che dico che bisogna cambiare mentalità: per esempio i malati psichiatrici o le madri sole e in difficoltà economiche. Le tipologie di bisogno si modificano e uno strumento per sua natura flessibile come l'assistenza domiciliare può essere la risposta giusta».
Quali sono gli altri campi su cui pensa di intervenire come assessore? «Sono rimasta, come tutti, molto colpita dalla visita di Papa Francesco al Centro Astalli per i rifugiati e dalla sua preghiera per la Siria. Dobbiamo raccogliere l'appello del Santo Padre e fare qualcosa per chi arriva qui dopo avere perso tutto».
Quali sono i progetti? «Ci sto ancora pensando, ma vorrei creare per la Capitale qualcosa che resti, migliorare la qualità dell'accoglienza, sia di primo livello, quello dell'emergenza, che di secondo, inventando percorsi di integrazione che funzionino davvero».
Come? «Intanto migliorando le strutture di assistenza che già esistono, come il centro Enea di Boccea. E poi utilizzando al meglio i bandi governativi Sprar, attraverso cui ogni città dà la sua disponibilità a accogliere una quota di rifugiati».
Com'è la risposta della città in questo senso? «Sempre troppo scarsa. Finora ci siamo tenuti intorno a una quota che non superava mai il centinaio, io vorrei arrivare a ospitarne almeno 250».