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18 Grudzień 2014

Natale non è uguale per tutti

 
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Natale. La letterina. L'albero. Le luci. L'attesa. La magia. Scorrono veloci i primi Natali della vita. Riaffiorano qua e là solo brandelli dei tempi delle elementari. Quando la voglia di credere a Babbo Natale è l'unico antidoto a disposizione per rimanere nel regno dei sogni e della magia. 
Ci vuol poco a diventare grandi. Da figli a genitori, il passo è breve. Mio padre diceva sempre con un pizzico di malinconia mescolato a cinismo, che la vita è un'accelerata. Con tanti incroci, aggiungo io. Alcuni dei quali pericolosi. E solo con il passare degli anni si riesce ad attraversarli con prudenza. Diciamocelo una volta per tutte. Il Natale è bello se sei piccolo. Il Natale è  bello se hai una famiglia. Felice. Serena. Non importa quanto tradizionale sia. Altrimenti diventa una sofferenza. Amplificata da radio, Tv e pubblicità che contribuiscono, se possibile, a farti sentire ancora più solo. Perché in questi giorni l'imperativo categorico è essere felici. Mastichi amaro e tagli con il coltello il panettone e l'ipocrisia che ci vorrebbe tutti buoni per un giorno, poi di nuovo pronti a dare battaglia. Un mondo che accelera violentemente per bloccarsi, come un fotogramma, nella notte del 24.
Penso a chi non ha nessuno da abbracciare. O peggio, ce l'ha ma non può abbracciarlo perché lontano. Penso ai genitori separati e ai loro turni e ai «no, non è il tuo giorno». Penso ai giovani di ieri in una casa che qualcuno si ostina a chiamare "di riposo", in attesa di un frettoloso abbraccio di coloro che hanno contribuito a mettere al mondo. Penso che in tante case-famiglia ci sono dei bambini che potrebbero smettere di essere un business e dare e ricevere gioia in altre famiglie. Penso all'egoismo, all'insensibilità, all'ipocrisia e alla retorica che impazzano come video virali. E  contagiano. Penso all'imperativo categorico del comprare  per anestetizzare la propria solitudine.
Penso poi a quelle persone che non hanno soldi per arrivare a fine mese dopo avere lavorato una vita e vanno a letto presto perché
non hanno i soldi per pagare il riscaldamento.  Penso a quelle chiese che organizzano il pranzo per i nuovi e i vecchi poveri. Una volta, per provare a sentirmi utile, ci sono stato. Grazie a Monsignor Paglia. La messa della mattina. Sgombrare  la chiesa dai banconi. Aprire i tavoli, mettere le panche.  E poi apparecchiare.  Il centrotavola. La candela. E la raccomandazione di mettere il pane solo tra il primo e il secondo, per evitare che lo mangino subito o lo nascondano. Perché tra i poveri è sempre guerra. Per sopravvivere. La rassegnazione dei vecchi poveri. La vergogna dei nuovi, scivolati di classe per la recessione inesorabile.
Penso che tra poco sarà Natale e abbraccerò mio figlio. Scavo nella memoria per cercare i miei, di Natali. Penso che sarebbe bello tornare, solo per un giorno, figlio con la memoria dell'adulto. Penso sarebbe bello riabbracciare mamma e papà con la consapevolezza struggere che non sono eterni come ti aspettavi. Un regalo diverso. Impossibile da scartare. Ma questo, lo capisci sempre troppo tempo dopo.