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8 Agosto 2014

Medio Oriente. In centomila abbandonano la città dopo l'occupazione da parte dei fondamentalisti dell'Isil

Iraq, la grande fuga dei cristiani

L'appello di Papa Francesco: porre fine al dramma umanitario

 
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In Iraq è in atto un crimine contro l'umanità, la cultura e la storia di un intero Paese: i jihadisti del Califfato proclamato da Abu Baia al Baghdadi hanno spazzato via dalla valle di Ninive gli ultimi cristiani e anche gli yezidi, corrente religiosa di origine zoroastriana, insieme a tutte le minoranze che non si convertono alla loro versione del Corano e della legge islamica, la più oscurantista e violenta possibile. Non diversamente da quanto accaduto in Siria, dove i gruppi islamici sunniti hanno raso al suolo le città dei cristiani che sono stati concretamente difesi - può sembrare un paradosso - soltanto dai musulmani sciiti delle milizie libanesi Hezbollah, alleate di Assad.

Dall'Occidente, a parte gli interventi del Papa, del Vaticano e della Comunità di Sant'Egidio, alle minoranze dell'Iraq finora sono venute in soccorso soltanto parole e una certa indifferenza, come se fosse fastidioso ricordare, soprattutto per gli Stati Uniti, che questo disastro ha origine dalla guerra del 2003 contro Saddam Hussein, uno dei più clamorosi fallimenti della storia recente. Ora qualche cosa si muove: è stato convocato il Consiglio di Sicurezza dell'Onu su richiesta della Francia mentre gli Usa si preparano a sostenere con lanci aerei e forse evacuare gli yezidi intrappolati nelle montagne. Il Califfato dell'Isil ha vita facile: terrorizza ancora prima di arrivare sul posto, villaggi e campi profughi si spopolano appena si diffonde la notizia che i jihadisti sono in marcia anche se in realtà ancora lontani. Sotto i nostri occhi si sta svolgendo una pulizia religiosa e settaria che non ha precedenti neppure negli immani spostamenti di popolazioni voluti in varie epoche dai regimi iracheni, compreso quello di Saddam Hussein, che proteggeva i cristiani e le altre minoranze, manovrate strumentalmente per suoi fini politici, mentre perseguitava i musulmani sciiti ritenuti una quinta colonna degli ayatollah iraniani. Nella valle di Ninive i jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil) hanno svuotato Qaraqosh, la più grande città cristiana dell'Iraq dove avevano trovato rifugio quelli appena scappati da Mosul: è l'ultimo atto di una fuga che mette fine a duemila anni di presenza cristiana in Iraq dove si trovano chiese risalenti al secondo e terzo secolo. Alla vigilia della caduta di Saddam i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo, forse due, ora sono ridotti a meno di 300 mila. Ma è una stima per eccesso.

I cristiani sono in estinzione, qui e anche in Siria dove i combattenti dell'Isil e di Jabat al Nusra hanno sgretolato chiese, monasteri, luoghi di culto insieme a icone, reliquie, statue e antichi reperti archeologici. Una nemesi biblica sulle orme del cammino di Abramo. Nella sanguinosa avanzata del Califfato, che si impadronisce di risorse chiave come acqua e petrolio, controllando giacimenti, dighe e centrali, non è in gioco soltanto la sorte dei cristiani ma la chance futura di ricostruire nazioni e stati che stanno affondando. La geopolitica dell'intolleranza praticata con furore dai jihadisti lascia poche speranze alle nuove generazioni, private della loro storia e anche della memoria. È così che si fa strada il nuovo Medio Evo, in un certo senso peggiore persino di quello storico, con la cacciata dei cristiani e delle altre minoranze, nello spregio delle regole che un tempo imponevano i veri califfati, i' quali proteggevano sia cristiani che gli ebrei, autorizzati - dietro il pagamento di una tassa speciale - a esercitare liberamente il culto e ad amministrare la giustizia secondo le loro regole all'interno delle rispettive comunità. Era questo il sistema del "millet", la comunità religiosa protetta, attuato dall'Impero Ottomano che aveva accordato autonomia e diritti alle minoranze religiose (greca ortodossa, caldea, armena, ebrea, siriaca). Ma questa architettura socio-religiosa, sopravvissuta con le sue contraddizioni negli stati nazionali sorti dopo la fine dell'Impero e la decolonizzazione, si sta sgretolando con l'ascesa del neo-califfato.

Il Medio Oriente che vediamo adesso stravolto dal crollo delle frontiere e delle nazioni non sarà mai più quello di prima: vengono polverizzati dal Califfato gli ultimi retaggi di società un tempo multi-religiose. Le conseguenze sono prevedibili: sono destinate a prevalere versioni della storia univoche e senza alternative, in comunità sempre più settarie e violente nei confronti di chi è diverso. Può darsi che il neo-Califfato sia effimero, che ci saranno reazioni consistenti da parte degli sciiti, dei curdi, dei turchi, ma intanto tra Iraq e Siria sta nascendo l'entità politica più pericolosa e agguerrita: lo Stato dell'Intolleranza.


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